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Attualità di G. FIORITO del 20/05/2014 09:57:07
Il segreto dell’Atletico Madrid

 

La favola dell’Atletico Madrid, fresco vincitore della Liga, potrebbe trovare l’apoteosi sabato prossimo 24 maggio a Lisbona, nello stadio Da Luz del Benfica, quando per la prima volta nella storia della CL la finale ospiterà un derby tra due squadre madrilene (Link).

Nel 2010/2011 la stagione si era chiusa per la squadra di Simeone, arrivato in dicembre, con un deludente settimo posto e l’uscita ai quarti da un’EL appena conquistata, con l’aggravante di una penuria di introiti per le casse del club che esasperava il consistente indebitamento con il fisco spagnolo, comune ad altre squadre (Link). L’Atletico Madrid decise di far cassa, vendendo i suoi gioielli e mettendo insieme 85 milioni di euro. David de Gea finì al Manchester United, Elias allo Sporting Lisbona, Diego Forlan all’Inter, ma il colpaccio economico furono i 45 milioni incassati dal Manchester City per Sergio Aguero.
La società non solo sopravvisse, grazie anche a un intervento dello stato spagnolo che consentì ai madrileni di spalmare il debito in un arco di anni, ma invece di fare i conti con un declino inesorabile per mancanza di fondi, curiosamente iniziò la sua ascesa. 91 milioni di euro furono investiti in una campagna acquisti che portò in rosa diversi giocatori nuovi tra i quali l’attaccante colombiano del Porto Radamel Falcao, costato da solo 40 milioni. A gestire l’affare, cioè a metterci il 55% della cifra, fu in realtà un fondo di investimento, il Doyen Sports Investment, consentendo ai madrileni di spendere per altri calciatori.
In una sola stagione l’Atletico si riportò in pista, vincendo l’EL (con Falcao autore di 2 delle 3 reti in finale) e la Supercoppa Europea, portandosi a casa 23 milioni di euro e riassestando le finanze del club con un utile netto di 655.000 euro e un fatturato di 100,9, sebbene rimanessero 206 milioni di debiti con il fisco.

Ancora vincente la stagione 2012/2013, con la Copa del Rey e l’accesso in CL, che portò nelle casse 30/40 milioni di euro, più il ricavato della vendita di Falcao al Monaco. Dei 60 milioni di euro ricavati, 15 erano destinati al giocatore e 45 divisi con il fondo Doyen, che aveva già previsto di rivenderlo a un club più ricco con il doppio obbiettivo di realizzare una notevole plusvalenza e di consentire all’Atletico di investire nel calciatore solo 18 milioni di euro avendone sborsati al momento dell’acquisto solo 5 (Link).

Fare affari nel calcio. Il sogno dei presidenti di club italiani. Realizzato puntando su un campione emergente che qualcuno si prende la briga di comprare per te. Ma perché un fondo di investimento nel calcio? Il Doyen Sports Investment fa parte del Doyen Group, che ha sedi a Londra, San Paolo e Istanbul e i suoi cervelli pensanti appartengono a volti assai noti della finanza del calcio: Jorge Mendes, procuratore di Cristiano Ronaldo e Jose Mourinho, Simon Oliveira, curatore degli interessi di Beckham e Peter Kenyon, ex ad di Manchester United e Chelsea. Si spiegano così le enormi plusvalenze che hanno gonfiato le casse del Porto nella stagione 2012/2013 grazie alle cessioni ancora al Monaco di Moutinho e James Rodriguez, in orbita Mendes, con la complicità delle Tpo (Thirdy party ownership), che fanno da intermediarie. Si giustifica così la parabola assai gradita a una larga fetta di pubblico e tifoserie, affascinate dall’avventura di una Cenerentola come l’Atletico Madrid, capace di sconfiggere miti del calibro di Barcellona e Real Madrid e di colmare in soli tre anni il gap con le filosofie più vincenti e diverse della storia recente del calcio.

Perché noi no? Semplice. Il “miracolo dei Colchoneros” non è per tutti, poiché il meccanismo delle Tpo, che è lecito e diffuso in America Latina, in Europa è vietato, con l’eccezione del Portogallo e la UEFA sembra orientata a combatterlo, come ha affermato Platini, se la FIFA non interverrà a regolamentarlo.
Intanto in Sudamerica molti giovani campioni crescono con il loro cartellino nelle mani dei fondi di investimento, mentre in Europa si stenta a decollare senza l’intervento del magnate straniero e a meno di una settimana dalle elezioni europee il calcio patisce l’assenza di una normativa che consenta una partecipazione alle massime competizioni leale e ad armi pari.

Se l’applauso del Camp Nou all’Atletico è stato dettato dall’istinto sportivo, esso deve uscire dagli stadi e permeare i palazzi delle istituzioni. Il fair play, anche se finanziario, non basta. La legge deve essere uguale per tutti.


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