Oggi vi vorrei parlare dei “beniamini” bianconeri, certo di smuovere molti più mugugni di quanti siano stati evocati nel predente articolo sui centravanti della Juventus. In quest’ultimo, nel preambolo scremavo qualche nome, pur secondo regole da me scelte. Qui l’unica limitazione possibile è data dall’età del lettore: un ventenne non potrà designare una vecchia gloria come proprio beniamino. Dando per scontato che nessuno di voi citi come proprio beniamino Carlo Bigatto, il capitano col berrettino, ritengo che pochissimi abbiano come idolo uno dei protagonisti della prima cinquina (Combi, Borel, Orsi, Cesarini), o della Juventus del “Trio Magico” (Boniperti, Charles, Sivori). Vediamo allora di incrementare il forum con i vostri suggerimenti, le necessarie precisazioni e le normali critiche.
Il mio primo beniamino è stato
Pietro Anastasi, “Petruzzu”: uomo d’area ma anche di manovra, aveva come caratteristiche secondarie la prontezza di riflessi, lo scatto e l’imprevedibilità. La caratteristica primaria era cercare spasmodicamente la rete, tanto che Caminiti scrisse di lui, “caccia il goal come uno stallone la femmina”. Complice il per me inspiegabile, precoce, appannamento del mio campione, presto il mio cuore si allargò per Franco Causio. Immense giocate, grandi reti (soprattutto all’Inter!), dribbling ubriacanti e assist a iosa: come potevo non amare questo campione, che il solito Caminiti ribattezzò “Brazil”?
Il testimone passa poi a
Paolo Rossi, quel “Pablito” che con tre reti aveva steso il mitico Brasile ai Mondiali, chi con tempismo, opportunismo e intelligenza, in altre parole col “fiuto del gol”, ovviava a un fisico tutt’altro che da atleta. I suoi gol erano sempre in mischia: il suo marcatore lo perdeva e lui, forte di quel millimetrico vantaggio, insaccava astuto e imprevedibile. Il gioco cambia per l’arrivo di Platini e Boniek, e allontana Rossi dalla sua zona preferita. Per questo fatto e le giocate divine del francese, sono certo di non essere imputabile di “idolatria bigamica” se mi colpì l’infatuazione per
Michel Platini, pur continuando ad ammirare quell’omino di Prato, che restituiva a tutti noi normali la speranza di poter essere assi del pallone. Michel era un po’ troppo francese nelle parole, ma le giocate e le reti non erano mai banali. Anche lui abbastanza vicino al tipo del “calciatore-non-atleta”, toglieva lavoro al tecnico, cui restava il compito di schierare in campo gli altri nove: poi c’era lui, mediano, interno, mezzapunta o centravanti, secondo estro o necessità. Mai un soprannome, “Le Roy”, fu più azzeccato.
Il mio beniamino successivo, pur con qualche problema legato alla gestione delle sciarpe e di legame ai colori societari, è stato
Roby Baggio: controllo di palla assoluto, accelerazioni brucianti, dribbling perentori, tiro micidiale. Peccato che non si sia innamorato di noi, quanto noi di lui. Il disamore di Baggio e la differenza di età fecero sì che i dirigenti puntassero tutto su
Alessandro Del Piero. Scelta azzeccata, a mio parere: pur con una minor velocità di base, era molto più uomo squadra del “Codino” ed in più aveva i “gol alla del Piero” e la standing ovation del 5 novembre 2008 al Bernabeu. Che altro dire di lui? A mio modo di vedere, il nostro giocatore più grande, il più completo, una bandiera bianconera al pari di Boniperti, uno cui non è stato inspiegabilmente concesso di passare dal campo alla scrivania societaria.
Ma, di nuovo, Moggi ha fatto di me un innamorato infedele ai suoi campioni: come fare a non stravedere per
Luca Vialli, “Stradivialli” per Gianni Brera, centravanti completo dal gran senso della rete, acrobatico, dotato di gran dinamismo, forza fisica, che era anche un leader carismatico. Oltre al resto, valga per tutto la sua immagine del 4 dicembre 1994: dimezzato il distacco dalla Fiorentina, si divincola dai compagni festanti per correre a centrocampo, non pago ma voglioso di rovesciare il risultato.
Mentre Del Piero costruiva il suo mito, noi potevamo affezionarci a un altro grande dalle sontuose giocate,
Zinedine Zidane. Fisico da rugby ma eleganza da ballerino, dare il pallone a lui era come metterlo a Fort Knox, tranne quando decideva di giocarlo, magari dopo un “giro di valzer”, con la palla ammaestrata dalla suola del suo scarpino. Lui parte e la Triade ci regala
Nedved e
Buffon due da Pallone d’Oro, il secondo scippato da un altro bianconero, transfuga per opportunismo al Real Madrid. Vale la pena di ricordare le caratteristiche tecniche e umane di questi campionissimi, Pavel tra i migliori centrocampisti del dopoguerra, Gigi considerato uno dei migliori portieri di tutti i tempi (dati IFFHS), entrambi rimasti fedeli ai colori bianconeri anche in quella farisaica stagione in serie cadetta.
Mio ultimo beniamino è stato
Carlos Tevez, uno piccolo, brutto e “cattivo” ma dal cuore enorme, centravanti potente e prolifico ma anche intelligente rifinitore, con tanta aggressività da ricordarmi (pur se solo nel titolo) “Il diavolo in corpo” di Marco Bellocchio. A chi la palma del prossimo beniamino? Una certa preferenza io l’avrei già: andrebbe a un altro argentino, stavolta dal faccino pulito e bellino, meno aggressivo, ma altrettanto letale dell’”Apache”… se mantiene le promesse e se non me lo vendono subito. Voi che ne pensate?
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