Di giornalisti indipendenti è pieno il mondo, ma forse sono quasi tutti fuori dei nostri confini italici. In compenso, i nostri "settantottini" sono spesso spiritosi. Uno dei più spiritosi è il Signor Pistocchi da Cesena che, nel “suo” social network, ha recentemente esibito un post: sotto il titolo ”Tagliavento e Buffon forse stavano parlando del gol di Muntari”, a sinistra, i due che si abbracciano e, a destra, la foto del gol fantasma di Muntari (non convalidato, appunto, da Tagliavento, n.d.r.).
A parte che, a mio parere, per Pistocchi vale quanto scritto da De Andrè nella seconda strofa di “Un giudice”, il cesenate scarseggia sia di memoria, che di logica. Infatti, dal 2012, continua a sostenere che il gol di Muntari avrebbe portato il risultato sul due a zero per il Milan, poiché mai ha considerato la precedente rete di Matri, altrettanto valida, ma annullata per un fuorigioco inesistente. Memoria cattiva e logica pessima.
Ricordo al piccolo giornalista che la moviola, in Italia, è stata introdotta la sera del 22 ottobre 1967. E’ la data in cui si disputò Inter-Milan, in cui l’arbitro convalidò il gol di Rivera che fruttò al Milan l’uno a uno finale. A sera, l’esordiente moviola della Domenica Sportiva dimostrò che il pallone non aveva varcato la linea di porta.
Lascio quel rancoroso rosicatore a cuocere nel suo brodo, per parlare di una cosa che mi era un attimo sfuggita e di cui chiedo venia agli appassionati di storia bianconera: il 22 gennaio 1967 era il cinquantesimo anniversario del
primo gol fantasma italiano (buono, non fasullo come quello Rivera). All’Olimpico di Roma, agli Ordini del Signor De Marchi da Pordenone, davanti a 45.000 spettatori, con 24.000 paganti per un incasso di 30.500.000 lire, scendono in campo Lazio e Juventus. La giornata è piovosa ma non fredda e Il terreno è in pessime condizioni. Nei biancazzurri rientra Mari e l’allenatore Neri presenta una squadra zeppa di centrocampisti, col solo Bagatti a far da guastatore. I bianconeri di Heriberto Herrera, privi di Bercellino senior e di Leoncini, recuperano Castano e Menichelli. Per l’ultima giornata del girone d’andata, la Lazio quindi schiera Cei, Zanetti, Adorni; Dotti, Pagni, Anzuini; Bagatti, Carosi, Morrone, Dolso e Mari. La Juventus risponde con Anzolin, Gori (Adolfo), Rinero; Salvadore, Castano, Cinesinho; Zigoni, Del Sol, De Paoli, Sacco e Menichelli.
Ottima partenza bianconera, con un palo preso in pieno da Gori al 5° minuto, una facile occasione mancata di testa da Zigoni dieci minuti dopo, mentre, al 35° Carosi s’immola su una bordata di Menichelli. La ripesa si apre con un tiro di Morrone alto di poco poi, al 52°, ecco il fattaccio. Per fallo di Zanetti su Zigoni, sotto la tribuna Tevere, punizione tesa e bassa di Menichelli dalla trequarti: irrompe De Paoli che insacca al volo subito dopo la traversa. La rete, molto tesa, ribatte la palla in campo, Cei l’abbranca, fa finta di nulla e la rimette in gioco. A nulla valgono le vibranti proteste bianconere: De Marchi non convalida. Il risultato, nonostante il furibondo forcing bianconero, culminato con le finalizzazioni di Menichelli e Del Sol, infine si acquieta. La Lazio può finalmente respirare, anche se l’ultima azione pericolosa è ancora bianconera, con De Paoli che non sfrutta un’incursione di Zigoni. Per questo risultato, la Juventus, al termine del girone d’andata, resta un punto dietro all’Inter capolista, che vira a 26 punti.
Per la storia, nel girone di ritorno l’Inter si portò a più quattro, a causa di tre pareggi bianconeri consecutivi; nelle settimane successive, il distacco oscillò sempre tra due e quattro punti, fino alla trentesima giornata, quando la sconfitta bianconera col Milan sembrò consegnare lo scudetto ai nerazzurri. Le fatiche di Coppa dei Campioni, la sconfitta con la Juventus e un po’ di pareggi dei milanesi, ridussero però il vantaggio interista ad un punto. Il 25 maggio, persa la finale di Coppa col Celtic, l’Inter bissò la sconfitta anche col modesto Mantova, per un gollonzo dell’ex Di Giacomo, favorito dalla papera del portiere Sarti. La Lazio, sconfitta a Torino dalla Juve, cedette ai bianconeri i due punti necessari al sorpasso bianconero, e
nonostante il punto rubacchiato all’andata, non riuscì ad evitare la retrocessione in Serie B. Fu la vittoria della Juventus operaia, quella Juventus che l’Avvocato definiva “Socialdemocratica”, pazientemente assemblata dal “Ginnasiarca” Heriberto Herrera, che per la seconda volta ribaltò la gerarchia, divenendo “HH1” e relegando Helenio Herrera al ruolo di “HH2”. A nome di una squadra bianconera depurata dalle “stelle” indisciplinate, dal gioco corale detto “movimiento”, che con tenacia e carattere ribaltò il pronostico, vale la pena di ricordare le parole di Gianfranco Zigoni, uno degli scampati alle purghe di Heriberto. Queste parole di uno di quei solisti indisciplinati, che per amore di dribbling e controdribbling era detto “Zigozago”, sono la medaglia al valore sul petto di Heriberto: “Lo scudetto del '67, quello conquistato all'ultima giornata è merito di Heriberto Herrera. Noi giocatori avevamo già mollato, lui no. L'Inter tecnicamente era superiore, la Juve una squadra operaia. Però abbiamo vinto e ce lo siamo anche meritato”.
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