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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di S. BIANCHI del 01/02/2017 08:59:29
Dybala - Nel nome del padre

 

Oggi, vi parlo di un bel libro, il cui titolo non lascia dubbio sul soggetto di cui si tratta. Nel sottotitolo, invece, la parola “padre”, in minuscolo, significa che non è un libro di religione e calcio, ma è la storia di un ragazzo che molto deve a suo padre, e non solo dal punto di vista calcistico. Il libro è l’ultima fatica della coppia Alvise Cagnazzo & Stefano Discreti, già autori di due belle biografie su Conte e Montero, di cui avevo già scritto.

Il libro su Dybala segue il filo “realista” tracciato dai due nelle esperienze precedenti, poco incenso e molto sulla persona e sul calciatore: del ragazzo si può dire già tanto, pur con una carriera ancora agli inizi. Sono tre gli eventi significativi nella sua vita: la morte precoce del padre, la cui importanza in vita e nel ricordo tanto vale nell’esistenza di Paulo, l’esperienza palermitana e gli effetti del trasferimento alla Juventus.

Il padre è stato la persona che gli ha trasmesso l’amore per il calcio, la necessità del sacrificio per ottenere il risultato e i principi basilari per affrontare la vita. Fu lui a rifiutare un vantaggioso contratto con i Newell’s Old Boys, squadra importante, che avrebbe però determinato il trasferimento troppo precoce di un adolescente lontano dalla casa di famiglia a Laguna Larga. Preferì sacrificarsi, portandolo in auto, quasi ogni giorno, fino al campo dell’Istituto de Cordoba, nell’omonima città. La morte precoce del genitore ha solo ritardato l’inserimento di Paulo in un convitto lontano di casa, così il quindicenne si guadagnò il primo soprannome: “El Pibe de la Pension”, per il pensionato, dove l’Instituto de Cordoba alloggiava i propri giovani.

Il suo soprannome cambia presto: per le mirabilie che mostra sul rettangolo verde, ora lo chiamano “La Joya”, il gioiello. Tale Mascardi, un talent scout in rapporti con Sean Sogliano, DS del Palermo, lo segnala alla società di Zamparini, che avrà pure un caratteraccio, ma di giovani calciatori ne capisce, tanto da scucire, uno sull’altro, dodici bei milioni per il cartellino del ragazzo. E’ la fortuna di Dybala, che in una piccola società, senza tante pretese se non un’onorevole salvezza, lo fa crescere tatticamente. Mentre matura, il soprannome cambia ancora: ora è noto come “U Picciriddu”, che non ha bisogno di traduzione. Marotta, in cambio di una plusvalenza di ventotto milioni a favore di Zamparini, si assicura il sostituto di Tevez. Per non caricarlo di eccessive responsabilità, gli è assegnato quel ventuno che fu un tempo di Zidane e Pirlo, meno “compromettente” del dieci di Platini, Baggio e Del Piero, anche se le caratteristiche sono quelle del “vero” dieci. Allegri, per non bruciarlo e dargli il senso dello spogliatoio lo usa col contagocce, facendo indispettire i tifosi, me compreso, ma dimostrando alla lunga di aver avuto ragione. Valeva la pena di aspettarlo: tranne che a Firenze, quando c’è, si vede, e fa la differenza. Un lento passaggio di mano, del ruolo più che della maglia, che ne ricorda un altro: quello tra Baggio e Del Piero.

E’ un bel cocktail, il nostro ragazzo, che nel frattempo ha lasciato il soprannome siculo per tornare a “La Joya”. I tratti del viso (e il cognome) derivano dal nonno paterno, polacco, mentre l’asse materno, italo-argentino, oltre a donargli quei numeri calcistici che ci riportano a Sivori, ha fatto sì che ben due Federazioni gli abbiano garbatamente chiesto di difendere i colori polacchi o l’azzurro dell’Italia. Il nostro, pur ben a conoscenza di essere “in cosa” per arrivare a indossare il numero dieci della Nazionale Albiceleste, ha deciso di attendere l’eventuale chiamata del CT della Selecciòn, fedele al suo cuore e a quello dell’amato padre.

Lo accostano a Baggio per la visione periferica, per il passaggio strabiliante, la realizzabilità sotto porta, la propensione a fare il regista aggiunto, il caracollare attorno al centravanti boa ma anche la possibilità di fare la prima punta, per le finte di corpo ubriacanti, il ritmo di corsa palla al piede, le punizioni che paiono rigori, il partire lateralmente per poi tagliare al centro.

Lo accostano anche a Sivori, per la patria, il magico sinistro, i calzettoni “alla cacaiola”, pur mimetizzati dal parastinchi, ora obbligatorio. Ci sono tante differenze, soprattutto caratteriali: le giocate di Paulo non sono sempre finalizzate al gioco, mai a ridicolizzare l’avversario, nulla del suo comportamento indica la ricerca della rissa. Dybala si diverte a giocare a calcio, Sivori a sfottere gli avversari per stupire, oltre che divertire il pubblico con giocate funamboliche. Come Sivori è buono per ogni soluzione offensiva, a parte i colpi di testa, entrambi esageratamente propensi all’uno-due per ottenere la possibilità di tiro ravvicinato. Cosa in cui sicuramente Dybala è superiore al nativo di San Nicolas è la letalità dei calci da fermo, di prima, nei pressi dell’area di rigore.

Abbiamo un grande campione, in predicato di diventare grandissimo: lo dice anche Bilardo, che sostiene come “la classe di Paulo è nata in Argentina, ma il grande calciatore è nato in Italia, con il far suo il sistema di allenamento e la preparazione alla partita”. Quello che vi ho scritto fin qui è un riassunto ragionato del bel libro, scritto a quattro mani da Discreti e Cagnazzo: speriamo solo non serva a ricordare un “prodotto” acquistato da spagnoli, tedeschi o inglesi al “Supermercato Juventus”.

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