Alla fine Eupalla ha emesso la pena finale per quella sporca dozzina di ragazzacci maleducati, razzisti, incivili e indegni. Il 5-0 in una finale nazionale, contro l’inter, società planetariamente nota quale ambasciatrice di valori etici, sportivi e onesti, suona come il più umiliante verdetto per quel manipoli di futuri banditi e appaltatori di delitti, a cui la nostra società civile si appresterà ben presto di mostrare quelle che sono le note virtù su cui poggia l’italica culla dell’educazione.
Saranno contenti e felici al Mattino di Napoli, urleranno che giustizia è fatta la “tanto gentile e onesta pare” giornalista ospite di quelli che il calcio, “capiranno cosa significa umiliazione” sentenzieranno quelli del Coni.
A me e non solo, sorge però spontanea una domanda:
non si è leggermente esagerato nel voler rendere protagonisti degli adolescenti di un efferato crimine contro l’umanità, della più becera forma di razzismo distribuita attraverso i canali social? Non voglio, sia chiaro, giustificare la “cazzata” fatta dai teenagers bianconeri; se avessi un figlio e se quel figlio fosse uno di quei ragazzini, come genitore mi sarei chiesto dove ho commesso l’errore nell’educazione, ancor prima di spiegare a lui cosa significhi realmente rispetto.
Ma siamo così sicuri che quell'ipotetico figlio mio, smaliziato tanto quanto tremendamente sincero, non mi avrebbe risposto: “caro papà, a me ne hanno dette di peggio in giro, nei campetti di provincia, me lo hanno urlato padri e madri, zii e parenti, coetanei ed avversari”.
Lascia perdere, papà, non siete grandi esempi.
Ed avrebbe avuto ragione, così tanta ragione da farne effettivamente il punto fondamentale della questione:
i ragazzini sono vittime, sia chi ha offeso che gli offesi; vittime di una inciviltà malata che nello sport, e nel calcio in particolare, mostra la sua espressione peggiore.
I più maleducati si ergono a paladini di educazione, gli sconfitti non celebrano la forza dei vincitori, l’insulto più becero è goliardia solo se proviene da goliardilandia. Ci sono giornalisti che nascondono la loro quotidiana incapacità di giudizio, insinuando e predicando odio per miseri like sui social: tutto ciò è normale routine, consuetudine, parte del gioco per cui conviene piuttosto prendersela contro quei piccoli farabutti 2.0.
Ma il sapone, si sa, non serve a lavarsi le proprie coscienze.
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