«C’è stato il buu razzista dopo l’esultanza di Kean e Matuidi si è arrabbiato, ma credo che la colpa sia cinquanta e cinquanta. Kean ha sbagliato e la curva ha sbagliato. Noi dobbiamo essere d’esempio e guardare avanti, perché dobbiamo crescere tutti quanti, noi giocatori, come sistema calcio, anche in queste cose». Parole di Bonucci – poi rettificate - pronunciate nel dopopartita di Cagliari-Juve.

Premetto: non sono tra quanti non volevano il ritorno di Bonucci a Torino, e anzi mi sono esplicitamente schierato col difensore per i fatti che portarono allo sgabello di Oporto. Precisato questo, concordo con chi sostiene che Bonucci debba provare qualche "imbarazzo" per le parole dell'ultimo dopopartita.

Ritengo che la reazione del numero 19 sia da riportare a quello strano atteggiamento che si manifesta spesso a Torino: Chiellini che anche in partita è tutto un "sorrisi e abbracci" con gli avversari (prima di lui Buffon); la dirigenza che mostra indifferenza alle più disparate accuse che vengono rivolte ai colori bianconeri; gli avvocati che in più occasioni spingono al patteggiamento gratuito o riconoscono persino «quattro illeciti» laddove proprio non ci sono; e a parte dei tifosi (abilmente indirizzati) che si accontentantano del "tanto rispondiamo sul campo". Sembra quasi che della propria reputazione non interessi a molte delle componenti juventine. Autostima e amor proprio quali presupposti del rispetto altrui ci appartengono ancora?

Oggi, in questo clima in cui non si solleva neanche la prevedibile e doverosa difesa del compagno di squadra, non deve stupire più di tanto se gli ispettori federali scrivono che gli animalesci versi razzisti contro Matuidi e Kean sono stati solo di reazione, che prima del gol del giovane attaccante non ce ne erano stati e che al massimo sono stati pronunciati da quaranta o cinquanta curvaioli. Non deve stupire perché dalla Continassa nessuno proferisce parola, ancora una volta si accetta tutto come se nulla fosse.

Non sarebbe sbagliato reclamare maggiore aderenza alla realtà da parte di qualche presidente di altre società o nella redazione dei rapporti degli ispettori federali. È questione di rispetto per sé stessi, per i propri tesserati e per i propri tifos... pardon, per i propri clienti.



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