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Attualità di S. BIANCHI del 18/01/2020 13:18:25
Ciao, Pietro!

 

Ti chiamassero “Pelé Bianco”, “Petruzzu ‘u Turcu” o, più semplicemente “Pietruzzo”, come amava fare Caminiti, con te è mancato un pezzo di Storia del Calcio e, per quelli della mia età, chi, dopo Sivori, ha infiammato nuovamente i cuori per la Juventus. La malattia, che avevi annunciato due anni orsono, è riuscita a domarti, cosa che molto raramente riuscivano a fare gli stopper avversari: hai continuato a sgomitare finché hai potuto, ma stavolta hai dovuto arrenderti.

Il tuo arrivo in bianconero ufficialmente fu opera di Vittore Catella. In effetti, ormai destinato all’Inter, fosti dirottato a Torino, complice una fornitura di compressori per frigoriferi da parte di Gianni Agnelli (e seicentocinquanta milioni: parecchio, all’epoca).

Anche se tu rifiutavi la definizione di centravanti, eri considerato una prima punta rapida e abile in acrobazia, nonostante l’altezza non eccessiva. In effetti, giocavi col numero nove sulla schiena, ma sentite lui stesso: ”… il centravanti non l'ho mai fatto. E seppur scendessi in campo, anche in Nazionale, con la maglia numero nove, spesso mi posizionavo sulla sinistra, per effettuare dei cross a favore del compagno di reparto. Mi piaceva allargarmi, spaziare, servire i compagni. Giocavo come numero nove, però poi il numero nove lo facevo poche volte. Penso di essere stato un giocatore altruista, giocavo soprattutto per la squadra, mai per me stesso. Le mie qualità migliori erano lo scatto, la velocità e l'altruismo. Insomma, ero un uomo d'area che sapeva anche manovrare”.

Con Bettega formasti un duo d’attacco impareggiabile, una delle coppie più forti di tutti i tempi, tanto da conquistare tre Scudetti, impreziositi, nel 1968, dal titolo di capocannoniere. Eri un trascinatore, non solo per i tuoi gol, spettacolari, di rapina, con “uno scatto abbagliante... un misto di Gabetto e Lorenzi... più estro che tecnica, più possesso fisico dell’azione che senso tattico; caccia il gol come uno stallone la femmina”, come scriveva Caminiti.

La sfortuna ti ha privato del Mondiale 1970, dove saresti arrivato come “centravanti preferito” di Valcareggi, visto anche la tua rete del due a zero nella ripetizione della finale agli Europei del 1968 con la Jugoslavia. L’arrivo di Parola in panchina porta a una tua progressiva messa ai margini del progetto, favorendo il tuo passaggio all’Inter “otto anni dopo”, con una Coppa Italia che si aggiunge al tuo palmares, prima del finale di carriera ad Ascoli e Lugano.

Se permettete un’autocitazione, ecco quanto scrissi due anni orsono, il 7 aprile 2018. “Pietro, oggi tu compi settant’anni. Io ne ho qualcuno meno di te, e posso assicurarti che, uno dei miei ricordi più belli fu quando ti vidi uscire dagli spogliatoi dell’Arena Garibaldi, dopo Pisa - Juventus del 23 marzo 1969. Tu non avevi giocato, avevi il braccio ingessato, ma ricordo ancora il tuo sorriso quando ti toccai il gesso e ti feci gli auguri per una veloce guarigione. Oppure, quella volta al Delle Alpi: sedendomi, ti riconobbi nel mio vicino di sinistra. Mi rialzai immediatamente e, porgendoti la mano, ti dissi: «Buona sera, Signor Anastasi». Ancora il tuo sorriso quando, rispondendo alla domanda di come avessi fatto a riconoscerti, replicai: «Guardi che non è cambiato tanto». Iniziammo a darci del tu, e fu uno spettacolo guardarti di sottecchi durante la gara (non so quale gara di campionato fosse, per me quella sera la cosa più importante era un’altra): non stavi fermo un attimo, seguendo, palpitante e partecipe, le azioni della “tua” Juventus. Grazie, Pietro, grazie per tutto quello che hai significato per tanti (ex) ragazzi come me”.

Non si poteva non volerti bene. A questo proposito ricordo sempre quel che scrisse Darwin Pastorin: “In terza media, la professoressa ci diede un tema: parlate del vostro personaggio preferito del Novecento. I miei compagni scrissero di Kennedy e di Papa Giovanni, io di Anastasi”. Avrei fatto la stessa cosa. Non si poteva non voler bene a uno che, nel portafoglio, teneva una foto che lo ritraeva raccattapalle al Cibali, accanto a John Charles.

Ciao, Pietro, che la terra ti sia lieve.

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