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Attualità di G. GALAZZO del 11/12/2020 13:38:16
Quel momento durerà tutta una vita

 

Francesca era bellissima, per quanto possa apparire la più bella per un adolescente di 15 anni.
Era ribelle, come i suoi capelli lunghi, gli occhi poi, ti ci specchiavi dentro e ne leggevi i sorrisi, ma anche le prime ferite: fu facilissimo, quanto tormentato prendersi una cotta perché era l'amica preferita, più di chiunque altro.

Una sera scappammo, pur se fu una ragazzata concordata con la mamma, la mia, che Santa dovrebbe essere solo per le tribolazioni che un ragazzino troppo vivace le procurava in quel periodo; andammo lei ed un plaid e due panini qualche centinaio di metri sopra il nostro borgo, così per farla pagare ai suoi genitori (silentemente avvisati dai miei) che decisero in quei giorni di lasciarsi.
Francesca la vedevi nuotare e sembrava un delfino, la vedevi ballare e ti sembrava una foglia, l'ascoltavi piangere e ti batteva il cuore.

Era l'estate del 1982 e non ricordo se fosse caldo, ma eravamo Francesca, io e il mio Bravo della Piaggio, sapientemente taroccato da Giò, l'amico che probabilmente nacque con le mani sporche di grasso e un carburatore a cullare la sua crescita.
Un missile era quel bravo, capace di sfuggire alle palette alzate dei vigili e che melodia quel rumore che mi sembrava un concerto dei led zeppelin, un breve viaggio verso le prime libertà.

Lei, il mio bolide e un pomeriggio speciale, quel 5 luglio del 1982, che speciale lo era all'inizio perché
"ma chi se ne frega se perdiamo, tanto c'è lei", ma quella partita presto ci catturò, gli amici, le prime coppiette, lei ed io.

Zico, Socrates, Falcao Junior, spazzati via da una squadra diventata un prodigio; uno, due e tre e lui, Paolo Rossi diventa Pablito. Ogni gol e la sua gioia diventa un sorriso, con il mio cuore che batte per quella mano che all'improvviso stringe la mia, ed il mio cuore batte forte perché quel sorriso accese il mio entusiasmo.
E furono corse verso il mare, furono urla di gioia, furono quel bolide lanciato nelle vie della città, i bagni nelle fontane.

Non finì lì: Polonia e Germania furono le altre vittime di quel goleador dal sorriso contagioso. CAMPIONI DEL MONDO, CAMPIONI DEL MONDO, CAMPIONI DEL MONDO.
indossai la maglia taroccata dalla nonna, con il numero 20, quello della leggenda ormai conclamata, con nella testa la felicità per quel sorriso che accompagnava le mie giornate e quello che mi avrebbe portato a vivere un momento storico: CAMPIONI DEL MONDOOOOOOOOOOOO.

Quella cotta durò un'estate, quel momento tutta una vita: non so che fine abbia fatto Francesca, se sia ancora ribelle o giochi a far la signora borghese, se sia felice o la vita sia stata beffarda con lei.
Ma so dove ora sia Pablito: in una nuvola lassù che viaggia come un aereo, seduto ad ascoltare due grandi vecchi con la pipa e con un fratello mundial. Quasi timido che gli sussurra all'orecchio: "è bellissimo anche qui, amico mio"

Riposa in pace, Pablito.

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