Probabilmente non scrivo nulla di nuovo, ma mi pare che il dibattito sempre più acceso riguardo le recenti prestazioni della Juve richieda un minimo di riflessione.
Per certi versi, sembra di essere fermi al punto di partenza, con l’esercito dei “
difensori della fede” juventina, per cui la vittoria ideale è 1-0, magari soffrendo e dimostrando umiltà, e quello dei “
rivoluzionari europeisti”, che invocano una nuova filosofia offensiva, prendendo ad esempio Guardiola e Klopp, tanto per citare due allenatori vincenti e spettacolari.
Pirlo si trova tra i due fuochi.
L’allenatore juventino
ha messo in chiaro immediatamente la sua idea di calcio, che certamente è più orientata in direzione Guardiola che Trapattoni, anche per i suoi trascorsi da calciatore, che l’hanno visto dominare in Italia, in Europa e nel mondo, sempre associando sublime estetica a solida concretezza.
Poi però bisogna anche fare i conti con la realtà. Nel calcio moderno, ancora più che in quello del passato,
la sopravvivenza di una società dipende in larga parte dai risultati sportivi: per una squadra come la Juve, fallire gli obiettivi minimi anche solo una stagione, comporterebbe un contraccolpo micidiale sul bilancio, che si trascinerebbe dietro anche l’area sportiva. Ciò significa che un allenatore deve assolutamente ottenere sempre il risultato in termini di classifica in campionato e di qualificazione ad un determinato turno di Champions League.
Se la possibilità di
allenare una squadra reduce da nove scudetti consecutivi, avendo a disposizione il migliore giocatore del mondo ed una serie di campioni come De Ligt, Cuadrado, Dybala e Morata, per citare i primi che mi vengono in mente, non può che
suscitare l’invidia dei colleghi allenatori, d’altro canto rappresenta paradossalmente
una difficoltà in più, perché l’asticella si alza inesorabilmente ed il confronto con i tre illustri predecessori, tutti vincenti, è inevitabile.
Noi tifosi possiamo anche promettere che ci accontenteremmo di un risultato modesto, pur di assicurarci il cambio di mentalità utile ai futuri successi continentali, ma la realtà è molto più complessa: mancando i risultati, mancherebbero anche i soldi per stipendiare Ronaldo, De Ligt e compagni e, per quanto si possa ammirare il lavoro di Gasperini all’Atalanta,
è altamente improbabile che con una rosa priva di fuoriclasse si vinca una Champions League (per non parlare di una serie, come molti auspicano succeda alla Juve).
Ciò detto,
è innegabile che il gioco sparagnino in Europa porti poco lontano e che un’evoluzione in chiave “europea” sia necessaria, se si hanno reali ambizioni oltreconfine.
Questa è la sfida estremamente difficile di Pirlo: una sfida che, per motivi differenti, hanno perso tutti gli allenatori che lo hanno preceduto.
Conte probabilmente non seppe trovare il giusto compromesso con la società, dimostrando l’assoluta incapacità nelle negoziazioni interne che gli aveva già reso difficile la convivenza con i dirigenti delle squadre allenate prima e che poi lo ha condotto ad un divorzio sanguinoso dal Chelsea, per ritrovarsi infine all’Inter, dove il rapporto burrascoso con Marotta resta appeso costantemente a un filo da mesi.
Allegri, dopo avere saputo sfruttare magistralmente il lavoro del predecessore, aggiungendo quella dose di spavalderia necessaria a progredire (decisamente) in Europa, si aggrovigliò nelle polemiche sul “giocare bene” e “giocare male”, trasformando negli ultimi due anni la Juve nella caricatura di sé stessa e rimediando brutte eliminazioni in Champions League, con il fallimento più evidente nella sua ultima stagione, quando addirittura Agnelli si era esposto indicando la competizione europea come un obiettivo dichiarato, in seguito all’acquisto di Ronaldo. Infine, è toccato a
Sarri, che ha pagato soprattutto l’incompatibilità ambientale e che, nonostante la vittoria dello scudetto, non è mai riuscito a dare continuità alle prestazioni, forse anche a causa di una serie di situazioni oggettivamente imprevedibili, iniziate con la sua polmonite che lo ha tenuto lontano dal campo durante tutta la preparazione e terminate con lo stravolgimento della programmazione di tutte le competizioni, a causa della pandemia.
Ora tocca
Pirlo, a cui, anche se non lo dice nessuno apertamente, è richiesto di
vincere almeno quanto chi lo ha preceduto e dimostrare un’
evoluzione di mentalità che permetta di ambire concretamente al successo europeo. Ciascuno dei due obiettivi è estremamente complesso e, se posti insieme, rappresentano una sfida al limite dell’impossibile.
Pirlo deve comportarsi ogni giorno come un farmacista, che con il proprio bilancino dosi costantemente spregiudicatezza e concretezza, aggiungendo una o l’altra secondo le situazioni contingenti. Ma qualsiasi cosa faccia, non sarà mai esente da critiche: all’arrivo di un nuovo tecnico, la maggior parte dei tifosi sostiene sempre la necessità di aspettare, dare il giusto tempo e altri mille buoni propositi, ma già alle prime amichevoli si comincia a criticare.
Abbiamo appena superato la metà della stagione e per il momento la Juve di Pirlo è
in piena corsa-scudetto (potenzialmente a -2 dall’Inter, contro la quale ha perso lo scontro diretto non potendo schierare praticamente nessun difensore),
\ha vinto il proprio girone di Champions League (superando anche il Barcellona, grazie ad una vittoria nettissima), è
in finale di Coppa Italia (avendo eliminato, tra le altre, proprio l’Inter) ed ha
vinto la Supercoppa Italiana. Riguardo il gioco, ha alternato momenti buoni a momenti meno buoni, anche all’interno delle singole partite, ha regalato punti dimostrando poca concentrazione, soprattutto ad inizio campionato, e ne ha conquistati altri talvolta prendendo scorciatoie inutili alla crescita tecnico-tattica, ma pragmaticamente fondamentali.
Come andrà in futuro è impossibile saperlo. Certo,
scommettere sulla mancata vittoria della Champions League è facile: è una competizione in cui partono 79 squadre e vince una, di conseguenza per tutte le altre si possono trovare difetti ed errori. Ma
non è neppure scontato vincere lo scudetto: il fatto assolutamente straordinario di averne conquistati nove consecutivi ci dà una cattiva percezione dell’impresa che ciascuno di essi implica. Impresa che a squadre come Roma e Napoli non riesce rispettivamente da 20 e 31 anni. Impresa di cui neppure tanti adolescenti milanisti e interisti hanno memoria, vista l’egemonia bianconera dell’ultimo decennio.
Ancora più difficile è prevedere quale sarà l’evoluzione tecnico-tattica della Juve di Pirlo. Riprenderà l’impegno nella trasformazione in chiave europea o si rifugerà definitivamente nella comfort zone della difesa impenetrabile, aspettando il solito miracolo di Ronaldo? Ecco, su questo, se dovessi spendere il mio cent, propenderei per la prima ipotesi.
Una cosa è certa:
le crisi isteriche dei nostri avversari italiani dimostrano che, al di là dei funerali che ci avevano già preparato da tempo, noi ci siamo ancora. E loro se la fanno addosso.
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