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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Eventi di S. BIANCHI del 05/07/2016 09:09:29
Furino, piccolo grande uomo

 

Nessun problema, il cinque luglio, a spengere in un soffio le settanta candeline: col cuore e i polmoni che si ritrova, Beppe Furino, soffiando, potrebbe spengere un incendio. Settanta anni d’età e quindici di Juventus, con due presidenti, Catella e Boniperti, e tanti allenatori: dal fugace Carniglia, attraverso Rabitti, Picchi, Vycpalek e Parola per arrivare a Trapattoni. Altri campioni l’hanno accompagnato, come i tre grandi liberi Castano, Salvadore e Scirea; molti i portieri che ha protetto, come Anzolin, Tancredi, Carmignani, Zoff e Tacconi. Tante le prime punte che hanno usufruito delle ripartenze frutto dei suoi recuperi di pallone, come Anastasi, Boninsegna, Virdis, Galderisi e Pablito Rossi e soprattutto tanti i registi che sono stati supportati dalla sua corsa: Haller, Capello, Brady e Platini. I quindici intensi anni di Furino, iniziati col suo ritorno nella stagione 1969/70, sono trascorsi in stagioni quasi tutte memorabili, tanto che fino a quella appena terminata, Furino era il primatista assoluto per scudetti vinti con la stessa maglia, ben otto, superato dopo trentadue anni da un altro “mostro” bianconero, Gigi Buffon. “Durante” Furino, un periodo che recita di 44.845 minuti giocati in bianconero, frutto di 528 gare, con 19 reti, di cui sette decisive, che sono valse 282 vittorie, 157 pareggi (e 89 sconfitte, per i pigri ma curiosi), oltre agli otto scudetti, la Juventus ha potuto arredare la propria galleria con altri quattro trofei: due Coppe Italia, la Coppa Uefa del San Mames e la Coppa delle Coppe.

Beppe è una bandiera, ma lui, schivo, non è d’accordo: «Perché la bandiera sta alta sul pennone ed io non sono certo il tipo da piedistallo. Tutt’altro, preferisco star giù a lavorare con gli altri, soprattutto con i giovani, con i quali mi trovo benissimo, perché parlo come loro e “sento” come loro». Ma io aggiro la sua modestia e rincaro la dose: se è vero che la classe è stile associato al rendimento, Furino è un fuoriclasse. Il suo stile non è far pallonetti o segnare con punizioni liftate, il suo stile è essere sempre ove serve, dietro da libero a coprire le uscite di Scirea, o a fare l’ultimo di centrocampo quando Tardelli fa le sue sgroppate in avanti; il suo stile è rapinare palloni e iniziare la ripartenza con gli avversari sbilanciati; il suo stile è prendere in consegna il “dieci” avversario e farlo sparire dal campo. La seconda parte della classe è il rendimento: penso sia inutile rimarcare l’enormità del rendimento sempre espresso in campo da quest’uomo.

Con Furino, il mediano faticatore, quello che corre “per quelli bravi”, diviene importante come il fuoriclasse perché … è un fuoriclasse. Nato a Palermo, cresce calcisticamente a TorIno nel NAGC della Juventus, dove arriva a quattordici anni. «Da ragazzo il mio idolo era Omar Sivori, giocavo con i calzettoni abbassati e anche più tardi non ho mai messo i parastinchi. Quand'ero nelle giovanili della Juve a Sivori ho fatto un tunnel e ci è rimasto male: ragazzino, come ti permetti? Non l'ho fatto apposta, gli ho detto. Invece sì, era da mezzora che provava lui a farmi un tunnel, se l'era cercata. Da ragazzo, tra giovanili Juve, Savona e Palermo credo di aver indossato tutte le maglie, tranne l'1 e la 9. Sì, ho avuto la 10, tiravo rigori e punizioni. Ma un giorno ho visto Luis Del Sol e ho deciso che il mio vero ruolo era quello di mediano». Tornato a Torino da Savona e Palermo, dov’era stato spedito a farsi le ossa, trova una Juventus che, da tempio del lavoro e della disciplina com’era con Heriberto, era diventata irriconoscibile. Carniglia lo impiega quasi sempre, pur se in ruoli sempre differenti: è con Rabitti, che lo conosceva dai tempi delle giovanili, dopo l’esonero dell’argentino, che trova la sua dimensione in campo, per ora come terzino sinistro. Dall’annata 1970/71, Vycpalek inizia a schierarlo in mediana, e in un periodo in cui i numeri fissi si vedevano solo agli Europei e ai Mondiali, quel quattro bianco in campo nero diviene proprietà privata di Beppe Furino. Con quel numero sulle spalle diviene il polmone della Juve, l’uomo di cui Boniperti soleva dire «Furino ha due cuori, uno a destra e uno a sinistra» da loro gli venivano la superiore dedizione alla causa bianconera e la generosità in campo. “Furiafurinfuretto”, come lo aveva soprannominato l’altro “panormita” famoso di Torino, Vladimiro Caminiti, con la sua determinazione carica la squadra e obbliga i compagni all’impegno assoluto.

Questo indispensabile pilastro del gioco bianconero non è amato dai giornalisti, e in pagella, il lunedì gli affibbiano solo misere sufficienze, voti da “operaio di centrocampo”; nasce anche il mito del mediano più “cattivo” d’Italia, per il solo motivo che il suo lavoro, egli lo fa benissimo: spietato nel contrasto, non si tira mai indietro, in ogni mischia che si rispetti, lui è presente, e se è necessario litigare non si tira indietro e nessuno riesce a intimidirlo. Furino non è solo morsi nelle caviglie degli avversari: qualche rete l’ha fatta anche lui come quella del 30 aprile 1977, il gol vittoria sul Napoli a quattro minuti dal termine, che a tre gare dalla fine del campionato consente il sorpasso sul Torino e la conquista del diciassettesimo scudetto.

La sua carriera termina in coincidenza dell’arrivo di Platini, ma non certo per la frase dell’Avvocato, non tra le migliori: «È inutile avere Platini, se il gioco passa attraverso i piedi di Furino». Furino smette certo anzitempo, ma la sua juventinità gli impedisce di accettare un’offerta da Napoli e una, ohibò, dal Torino. Trapattoni inserisce gradualmente Bonini al posto del palermitano, ma non lo dimentica l’anno dopo, facendolo subentrare proprio a Bonini, al 53° di Juve-Avellino (1 a 1: Rossi, 20°, Colomba 72° su rigore): è l’unica partita giocata quell’anno, ma gli permette di portare a otto il suo palmares di scudetti.

Questo piccolo grande uomo bianconero compie settant’anni, una tappa importante nella vita di un uomo. Per la maggior parte della gente sono tanti, per alcuni sono troppi, ma sono convinto che l’unico rimpianto di Beppe, per i suoi settant'anni sia d’essere fuori tempo massimo per indossare ancora, in campo, quella maglia cui ha dedicato la vita, di non poter più essere uomo-spogliatoio, di non poter più spingere i suoi eredi a una nuova vittoria. Diceva Caminiti: «Nella sua storia leggendaria la Juve ha avuto eccelsi gregari. Ma nessuno all'altezza di questo nano portentoso, incontrista e cursore, immenso agonista, indomabile nella fatica, i piedi come uncini dolorosi in certe circostanze».

Auguri Furino!

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