La realtà, per definizione, dovrebbe essere il regno delle cose normali, ragionevoli, prevedibili. La fantasia umana, invece, non ha limiti e può creare mondi alternativi, dove può accadere praticamente di tutto. Questo in teoria; in pratica la realtà ci mostra a volte casi e situazioni, che neanche la fantasia più sfrenata avrebbe osato immaginare. Il dubbio privilegio di verificare sperimentalmente tutto questo è toccato negli ultimi 5 anni alla Juventus e ai suoi tifosi. I più pessimisti di noi potevano forse prevedere le accuse e il processo "Calciopoli" che ne seguì: tutto sommato, ci avevano già provato con il doping, con accuse non più infondate di quelle attuali. Qualcuno forse poteva prevedere la convinta e fattiva adesione alle tesi colpevoliste da parte della proprietà stessa della squadra. Probabilmente neanche gl'incubi peggiori dei pessimisti cosmici avrebbero potuto immaginare quanto è seguito: eliminazione del giudice naturale e sua sostituzione un tribunale speciale presieduto da un interista doc; compressione dei diritti della difesa da far invidia ai processi medievali a streghe, untori ed eretici; condanna in base ad un mostro giuridico, quale "illecito strutturato a consumazione anticipata", creato ad hoc perché non si riusciva a trovare prove di una colpevolezza troppo allegramente affermata, ed autoreferenziale nel senso che non ha bisogno di concretarsi per sussistere. In pratica la Juve è stata condannata per non aver commesso un fatto, che all'epoca non costituiva reato, e che non sussiste fuori dell'immaginifica creatività dell'accusa. La giustizia ordinaria non può giovarsi di tali utili scorciatoie. Il dibattimento a Napoli, reale ancorché surreale, con i suoi colpi di scena, mi ha fatto ricordare la serie televisiva di Perry Mason, che assumeva la difesa, apparentemente disperata, di imputati schiacciati da indizi concordi e gravissimi. La trama di ogni puntata era praticamente sempre la stessa: il valente avvocato conduceva un'indagine parallela, evidenziava gravi carenze nelle indagini, scopriva il vero colpevole; infine, nell'udienza in tribunale, dimostrava l'innocenza del suo assistito e inchiodava il colpevole alle sue responsabilità. A Napoli è avvenuta la stessa cosa. Gli avvocati difensori e i loro consulenti hanno scoperto le gravi carenze, o peggio, di un'indagine strabica e sbilenca, che, partita da una ben precisa tesi di colpevolezza, ha messo in evidenza tutti gli elementi che potevano bene o male avvalorarla e ha invece disinvoltamente ignorato, come irrilevanti, tutti gli elementi che, al contrario, inficiavano o smentivano tale tesi. Le analogie, però, finiscono lì. Nella serie televisiva, la pubblica accusa prende atto della nuova situazione, annulla l'incriminazione del precedente imputato ed apre un nuovo procedimento contro il vero colpevole; nelle finzione scenica, l'avvocato difensore opera con mezzi modesti, col solo aiuto di una segretaria e di un giovane investigatore. Nella realtà del processo di Napoli, la difesa ha dovuto impegnare risorse ingenti, arrivando a dover pagare a carissimo prezzo il diritto di accedere alle intercettazioni telefoniche. Solo così ha potuto dimostrare l'insussistenza del cardine stesso dell'accusa, ossia le relazioni esclusive di Moggi coi designatori, delineate nell'avventata dichiarazione: "piaccia o non piaccia ... non ci sono telefonate" di altre squadre ai designatori. Marginalmente la difesa ha anche scoperto contatti di altre squadre con arbitri in attività, configuranti illecito sportivo ed altre piacevolezze inspiegabilmente trascurate dalle indagini ufficiali. Altra e maggiore differenza è stato il comportamento dell'accusa a Napoli. Io, al posto dei PM, di fronte alla smentita netta, recisa, inequivocabile della tesi sinora sostenuta con baldanzosa sicurezza, avrei desiderato sprofondare e sottrarmi al pubblico ludibrio; poi avrei considerato come onorevole via d'uscita, nell'ordine: il suicidio; il ritiro in convento di clausura; il trasferimento a Lampedusa come addetto all'identificazione dei migranti... La scelta giusta era ovviamente lasciar cadere le accuse per manifesta infondatezza; si poteva salvare parzialmente l'onore, attribuendo la colpa a chi aveva condotto le indagini. Nulla di tutto questo. Qui la realtà ha superato vigorosamente la fantasia. Impermeabile alla realtà dei fatti e anche al senso del ridicolo, la pubblica accusa ha tirato orgogliosamente diritto, arrivando a definire come mediamente favorevole all'accusa la giornata appena trascorsa. Da allora è trascorso circa un anno. Le difese, considerando vinta la partita, stanno facendo di tutto per arrivare rapidamente a sentenza, fino a rinunciare ai propri testimoni, che, tanto, difficilmente potrebbero togliere credibilità dell'accusa più di quanto già fatto dai testi chiamati dall'accusa stessa. La pubblica accusa segue una linea, la cui logica mi sfugge ma porta alla dilatazione dei tempi del procedimento, con conseguenze imprevedibili. La conclusione è molto amara: chi vuole veder trionfare la giustizia rapidamente, farà meglio a ripescare la serie televisiva di Perry Mason. Nella realtà occorre armarsi di pazienza e sperare che tante lungaggini non portino al nulla di fatto, chiudendo forse la strada alla revisione del giudizio sportivo. Purtroppo anche nel campionato di calcio la dura realtà sta superando ogni pessimistica fantasia: nel campionato scorso sembrava chiaro che si era toccato il fondo e peggio di così non poteva andare. Il campionato attuale sta smentendo quella troppo ottimistica previsione.
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