Tempo fa, per motivi di lavoro, mi sono recato, da Roma, a una frazione di Ferrara, situata a poche centinaia di metri dalla riva del Po. Sono andato a visitare un vecchio Podere, risalente al secondo '700, perché un mio caro amico medico, che mi aveva chiesto di accompagnarlo, aveva intenzione di acquistarlo, insieme ad altri suoi colleghi, per farne una residenza di cura. Il suo intento era quello di ristrutturarlo in modo che, al temine dei lavori, esso riproponesse, per filo e per segno, la sua struttura originaria. Lì giunti, iniziammo, accompagnati dal custode, la nostra visita all'interno di quello che ai nostri occhi, aveva le sembianze di un vecchio rudere. Il cortile intorno alla costruzione principale, nonostante le amorevoli cure del custode, appariva incolto e in grave stato di abbandono. Impressionato dal fascino di quel luogo, mi attardai volutamente, lasciando che il custode e il medico intraprendessero da soli il giro di ricognizione: sentivo il bisogno di immergermi profondamente nella storia e nella sacralità del luogo. Allargai il mio sguardo e lo fissai, di volta in volta, sulle costruzioni minori: la masserizia, il fienile, la stalla e perfino una piccola Chiesetta, ormai sconsacrata e, per metà, diroccata. Iniziai a immaginare come potesse essere stata la Vita in quel meraviglioso Podere quando questo era al massimo della sua gloria e del suo splendore. Così, come per incanto mi sembrò di sentire le voci di bambini felici e sorridenti, e mi parve di vederli, osservati con attenzione da mamme amorevoli ed eleganti, rincorrersi nel bellissimo prato, tra alberi ricchi di buoni frutti e fiori di ogni colore e specie. E più in là, volgendo lo sguardo verso la piccola Chiesetta, mi parve di vedere due giovani sposi, allegri e felici, scambiarsi un casto bacio, attorniati da invitati eleganti e gioviali, allietati da una dolce melodia di archi. Rallegrato da quel bellissimo stato d’animo, entrai nella casa padronale. Nonostante l’odore di muffa e di chiuso che aleggiava nell’aria, potevo respirare il profumo di altri tempi, l’essenza di antichi fasti e lussi. Preziosi affreschi e dipinti alle pareti, erano lì a certificare l’importanza e l’influenza dei possessori del Podere in oggetto, sicuramente nobili del tempo, portatori di valori morali e umani non comuni. E me li immaginavo lì, riuniti attorno al grande camino, a parlare e discutere animatamente al fine di rendere sempre più bello e importante quel Podere. E, per un attimo, mi parve di sentirli parlare di Cavalieri forti e coraggiosi da arruolare e porre a difesa dei confini di quel Podere e utili a far conoscere al mondo, allora conosciuto, quel Podere e i suoi valori: valori di vita, valori autentici fatti di rispetto delle regole, dell’altrui sacrificio, dell’altrui dignità. Perso nei meandri della mia fantasia, non mi accorsi del fatto che, un piccolo omino anziano e malandato, fosse seduto su una vecchia poltrona posta a pochi passi dal luogo ove stazionavo; a rivelarmi la sua presenza nella stanza fu il buon profumo del tabacco della pipa che quell’omino stava beatamente fumando. Incuriosito, presi una sedia e mi sedetti accanto a lui, con l’intento di poter ricevere da quell’anziano e acciaccato signore, qualche utile informazione riguardo la storia di quel vecchio e ormai decaduto Podere. All’omino non parve vero di poter passare qualche momento della sua, ormai, noiosa e sofferente vita, con un giovane affamato di cultura e di sapere. E fu così che mi illuminò riguardo la storia di quel Podere. Mi rivelò che al culmine del suo potere e della sua gloria, fu fatto vittima dell’invidia e della cattiveria di un contadino divenuto, attraverso non chiare operazioni immobiliari, proprietario del podere confinante. Quel contadino, utilizzando le sue ingenti risorse economiche, riuscì a conquistarsi i favori dei magistrati e degli araldi dell’epoca, divenendo sempre più potente, arrogante e prepotente. Ma vani e infruttuosi furono i tentativi dell’avido e perfido contadino fino a quando anche l’ultimo dei fratelli che avevano dato lustro al Podere morì, lasciandolo nelle mani dei suoi incapaci e reietti nipoti che, nel frattempo, si erano imparentati e avevano fatto affari con l’arrogante contadino. E quello fu l’inizio della fine. Molti dei valorosi Cavalieri, che tanto si erano spesi per la gloria di quel Podere, lo abbandonarono; alcuni di loro addirittura si misero al servizio del losco contadino, mentre altri, i più fieri e fedeli ai vecchi padroni, rimasero a difesa di ciò che restava di quel possedimento e della sua gloria passata. Uno in particolare, il capo dei Cavalieri, continuò imperterrito e indomito a rappresentare in quei luoghi e nel mondo i valori di quel Podere. Ma il tempo passò anche per lui e prostrato da tante lotte e da tante battaglie, dovette arrendersi al tempo e cedere, con onore, le armi. Per i nuovi proprietari del Podere quell’indomito Cavaliere rappresentava l’ultimo ostacolo alla realizzazione del loro progetto: sottomettersi, proni e ubbidienti, al potere dell’arrogante contadino. E fu cosi che, quando anche quell’ultimo Cavaliere dovette suo malgrado abbandonare il Podere, quest’ultimo fu ridotto a ciò che ora appariva ai miei occhi: un povero appezzamento di terra edificato con fatiscenti e spettrali ruderi lasciati a ricordo degli antichi fasti e splendori. Commosso e amareggiato, dopo averlo ringraziato, mi congedai dall’anziano e sofferente omino e uscii nel cortile. E lì mi raggiunse il mio amico medico. Anch’egli triste e amareggiato in quanto, nonostante il suo ottimo progetto e le sue buone intenzioni, si era sentito dire dai proprietari del Podere che a loro andava bene lasciarlo così e che non c’era in loro alcuna volontà di riportarlo agli antichi splendori. Passai il tempo del lungo viaggio di ritorno a Roma, ripensando a quanto dettomi da quell’anziano signore e a un tratto, non so per quale scherzo della mente, il mio pensiero corse alla mia Juve; e mi parve assurdo quello strano fare della mia mente. Però poi, pensandoci bene, quel collegamento non mi parve più tanto strano: in fondo in fondo la storia di quel Podere si sovrapponeva in maniera impressionante a quella della mia squadra del cuore.
A voi non pare?
Marco Santarelli Roma
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