C’era una volta un Presidente che, pur spendendo fior fior di milioni di euro, non riusciva mai a vincere. La sua squadra inanellava figuracce in continuazione. Venivano comprati giocatori provenienti dai più disparati angoli del globo, ma dopo gli elogi dei giornali compiacenti e gli scudetti vinti solo sotto l’ombrellone agostano, alla resa dei conti si dimostravano dei bidoni a tutto tondo. Il povero Presidente soffriva molto questa situazione. Invidiava le squadre antagoniste che, senza sperpero di danaro, vincevano in Italia e in Europa, umiliando la sua squadra del cuore in ogni occasione. Un giorno, non potendone più di inanellare delusioni e buttare soldi, si incontrò con il suo fedele dirigenti e con un altro proprietario della squadra che, tra l’altro, dirigeva un’azienda di telefoni.
I tre, non essendo in grado di competere sul campo con gli avversari, decisero di utilizzare altre strade. Iniziarono a contattare dirigenti arbitrali e arbitri in attività. Cercarono, attraverso “regalini” e “colloqui di lavoro”, di ingraziarsi il favore di costoro, nella speranza che li aiutassero a vincere qualcosa che non fosse il Trofeo Birra Moretti o, nei periodi più rosei, la Coppa Italia. Nonostante queste nuove strategie, i nostri tre moschettieri, continuavano a subire cocenti sconfitte e a collezionare figuracce ovunque andassero a giocare.
Tra le tante vicende tragicomiche di cui è costellata la loro storia si ricorda particolarmente un cinque maggio 2002. In quell’occasione tutte le condizioni erano favorevoli per aggiudicarsi finalmente il tanto agognato scudetto. La squadra avversaria addirittura cercò in più occasioni di favorire i nostri indomiti. Purtroppo, però, l’incapacità e la fragilità emotiva dei giocatori del Presidente condussero ad un disastro inaspettato. La partita finì in tragedia, e lo scudetto fu perso. Rimangono nel mito le immagini di uno dei difensori più rappresentativi dei nostri poveretti mentre chiede in lacrima ad un collega avversario di fargli vincere la partita.
E così, ad un certo punto, il Presidente, il dirigente di fiducia e l’altro proprietario decisero di cambiare strategia. Iniziarono ad intercettare giocatori, dirigenti delle altre squadre. Intercettarono anche degli arbitri, e ne assoldarono uno per fare il “cavallo di troia”. Con l’aiuto della fedele stampa rosa e di giudici in cerca di notorietà, riuscirono a mettere in piedi una farsa incredibile che, comunque, ebbe l’effetto di eliminare dai campi sportivi della serie A i loro nemici più acerrimi. Finalmente rimasero da soli. I concorrenti più agguerriti erano stati epurati o ridotti all’impotenza. Niente più si frappose per lunghi anni fra loro e le vittorie in solitudine. Si imposero come padroni indiscussi del mercato, e rubarono ai loro ex avversari i giocatori più importanti. Insomma, il sogno del Presidente poteva finalmente realizzarsi. Un giorno tuttavia arrivò il Processo di Napoli e la Relazione di Palazzi.
I nostri eroi, ormai definiti cartonati o al meglio prescritti, iniziarono ad aver paura che tutti i loro sforzi per eliminare i nemici, al di fuori della contesa sportiva, e vincere in solitudine fossero stati vani. Il giornale di famiglia continuava ad aiutarli e anche le istituzioni sportive erano dalla loro parte. Ciò nondimeno, ormai tutte le altre squadre avevano scoperto la magagna, e volevano che giustizia fosse fatta…..
Il finale di questa storia deve ancora essere scritto, per quanto mi riguarda la terminerei così: …..per la vergogna decisero di espatriare in Congo e di andare a giocare col Mazembe, per continuare a vincere facile e sperare che nel loro paese gli altri si dimentichino della loro figuraccia senza precedenti.
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