Credo sia giunto il momento di affrontare un aspetto di farsopoli e delle sue conseguenze, che raramente noi juventini trattiamo, in quanto accecati, giustamente, dal fatto che i principali beneficiari della vergogna di sei anni fa furono i prescritti, ex onesti. Alludo agli altri miracolati dalla farsa del 2006, i “meanisti”. Aristotele diceva che l’uomo di fronte alla verità si comporta come un animale notturno di fronte al sole, chiude gli occhi. Ebbene, senza alcuna riflessione complessa, appare chiaro - anche a chi del calcio non interessa nulla e non sa neanche cosa sia calciopoli - che non è pensabile che Moggi potesse avere più influenza e potere di coloro che gestivano e rappresentavano la squadra del presidente del consiglio. Team, tra l’altro, che all’epoca aveva ai vertici colui che al contempo era anche presidente di Lega; squadra che da sempre è circondato da una rete di protezione mediatica - giornalistica e televisiva - senza pari nello scenario del calcio italiano. Ecco perché la tesi sostenuta dallo stesso Lucianone, circa la necessità di tutelare la Juve nel gioco senza regole delle lobby di potere calcistico, non è così peregrina. Per di più non va sottovalutato che questi personaggi, proprio grazie al dominio assoluto sulle televisioni, contribuirono notevolmente al consolidarsi di quel “sentimento popolare” che ha permeato le decisioni della (in)giustizia sportiva. Fatte queste considerazioni di carattere generale, a supporto di detta tesi, vi sono delle intercettazioni, che hanno come protagonisti i vari Galliani,Bergamo, Meani e Collina, connotate da una gravità e rilevanza che nessun’altra interlocuzione telefonica da noi conosciuta possiede. Tralasciando i vari episodi dai quali si evince la contiguità, a tratti particolarmente "melliflua", di Collina nei confronti degli ambienti milanisti - tanto che in un occasione l’amico intimo Meani addirittura vaticina il suo futuro da designatore - , nonché i costanti rapporti tra i vertici rossoneri con i designatori (credo che Bergamo addirittura si professi di fede milanista), penso che la telefonata più grave, riesumata dai periti di Moggi, sia quella in cui l’addetto agli arbitri del Milan, longa manus di Galliani, intima a De Santis di non ammonire Nesta, facendogli intendere che in caso contrario gli avrebbe sguinzagliato contro la stampa amica. Se questa non è una velata minaccia volta a condizionare l’operato concreto di un arbitro e al contempo ad influire sulla conduzione e quindi sul risultato di una partita, allora vuol dire che siamo tutti in malafede. La violazione del famigerato art. 6, che disciplinava la fattispecie di illecito sportivo, “atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara”, in questo particolare caso, appare palesemente integrata. Tanto più che la stessa norma, individuando i soggetti dei comportamenti illeciti sanzionati, faceva riferimento a “Le società, i loro dirigenti, i soci di associazione ed i tesserati che commettono direttamente o che consentono che altri compiano, a loro nome o nel loro interesse”. Che Meani agisse direttamente su imput di Galliani, è fuori discussione. Chi sostiene il contrario mente sapendo di mentire. Altrettanto inopinabile è la configurazione della responsabilità oggettiva nei confronti della società di Milano che, stante la gravità del fatto, avrebbe dovuto pagare in maniera molto più pesante le sue colpe. Tant’è, purtroppo sappiamo tutti che avere a disposizione un paio di giornali tra i più letti in Italia, e le televisioni asservite, vale tanto quanto avere in squadra Ibra. E questo Moggi lo aveva capito.
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