Ci ho messo un po’ per laurearmi in giurisprudenza, lo ammetto, le tentazioni della gioventù sono tante. Ci ho messo un altro po’ per specializzarmi in professioni legali e diventare avvocato ( un concorso farsa che offrirebbe la ragione più plausibile per le tanto decantate e mai attuate liberalizzazioni). Al contrario, però, ci ho messo veramente poco per capire, in quell’infausta estate del 2006 che era in corso una vera e propria operazione di linciaggio mediatico-giudiziario ai danni della mia amata Juventus. Purtroppo dietro le quinte agivano lobby e potentati contro i quali ben poco si poteva fare, anche perché, probabilmente, molti di questi poteri bazzicavano dalle parti di Torino. Il ritiro del ricorso al TAR – fondatissimo - confermò queste mie ultime impressioni. Da quella maledetto linciaggio ad oggi sono passati più di cinque anni, e di acqua sotto ai ponti ne è passata. Il fango che sgorgava a fiotti dalle sputafuoco dei nostri nemici, pian piano è diventato meno torbido, più limpido. In alcuni casi la corrente ha anche cambiato direzione, e la massa di melma maleodorante si è riversata indelebilmente anche sugli smoking, ormai non più bianchi, di chi ha cercato di sottrarsi all’inevitabile corso degli eventi. Ci hanno raccontato che i campionati erano stati alterati, le partite truccate, i sorteggi alterati. Ed invece: «Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’, ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite, partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci sono. ..”
Ci hanno raccontato che Moggi era un capo mafia alla stregua del boss del clan dei Casalesi, ma: «Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è un’altra cosa... E’ una questione di prestigio, di carriera».
E poi le telefonate dell’inter, il piaccia o non piaccia di Narducci, che in realtà “ ci stavano sì…..Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era interessante.. C'era una cartellina con il nome”.
Tanto poi, comunque, c’era “ Auricchio e Di Laroni che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un altro discorso…”.
Ma insomma quelle con i baffetti rossi che fine facevano santa miseria: «Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, sto mattone”
Mi sono sempre chiesto come fosse possibile che mai nessuno si sia reso conto della labilità dell’impianto accusatorio, dopo che già i giudici di Torino, notoriamente non amici della Juve, avevano gettato la spugna. Un uomo giusto insomma, qualcuno che non appartenesse al club dei gomorriti: «Sì, Arcangioli (il capo di Auricchi n.d.r.). Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio, arrivarono ai ferri corti».
Beh mica si pussono lesinare forze dell’ordine e denaro pubblico quando si indaga su personaggi peggiori di Totò Rina: “Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno tutto il lavoro”
D’accordo, però di fronte alle sim svizzere, mica si può eccepire qualcosa, caspiterina?? (p.s. è la risposta datami da un giornalista milanisti del blog “giornalisti nel pallone” del corriere della sera dopo che gli avevo fatto notare che le intercettazioni più eclatanti erano quelle del suo amico Meani): «Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera, devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente».
Ma vogliamo mettere allora i sorteggi truccati, i colpi di tosse? Quel tal Martino è stato chiaro, inconfutabile: «Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco tempo: Martino Manfredi . Quando l’abbiamo portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva: “io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato.... improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da.... » (N.B. Questa è gravissima, si legge fra le righe la probabile subornazione del teste).
Io non so chi sia questo carabiniere, il perché abbia deciso di parlare così colpevolmente in ritardo. Però conosco il diritto, i tribunali, i giudici e mi fregio di avere un minimo di senso del pudore – quello che a Milano hanno perso da tempo - e vi posso assicurare che sono letteralmente schifato. Agnelli dove sei? FC Juve che fai?? Ecco il vostro tavolo della pace. Servito su un piatto d’argento grazie ad un’intervista trapelata da uno sparuto giornale sportivo.
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