Partiamo da un presupposto: la mia stima verso Luciano Moggi è immutata e grandissima, ma siamo comunque in presenza di una sentenza di condanna emessa da un Tribunale dello Stato e come tale va accettata. Il fatto fondamentale è però costituito dalle motivazioni che, piaccia o non piaccia, certificano la totale estraneità della Juventus F.C. da ogni responsabilità. Punto.
Partiamo da questo aspetto, cui per chiunque in possesso di una licenza elementare sarebbe semplicissimo giungere. Cito testualmente: «Sul versante passivo, il Tribunale stima che non può essere accolta la domanda nei confronti del responsabile civile Juventus spa, sotto il profilo della frattura del rapporto organico con il datore di lavoro, generata dall’esercizio da parte di Moggi di un potere personale avente manifestazioni esteriori esorbitanti dall’appartenenza alla società, noto come tale ai competitori, messi infatti in allarme, così come ampiamente dimostrato dagli atti del processo, dalle caratteristiche del suo potere, da tutti indistintamente i competitori primieramente collegato all’universo dei calciatori rappresentati dalla Gea». Ritengo superfluo commentare nella sostanza l'estratto appena evidenziato, giuridicamente solido come un macigno, e proseguo oltre, per rivolgermi agli Avvocati della domenica che si riempiono la bocca con una questione morale, dicendo "eh già, ma come si fa a scindere l'operato di Moggi da quello della Juve?".
Approfondimento necessario: chi dice che l'AD o il DG di una Società debbano per forza agire in nome e per conto della Società stessa non capisce niente di Diritto, poiché è verosimile che chiunque rivesta qualsiasi carica in qualsivoglia impresa possa se mpre e comunque agire, personalmente e privatamente, per la tutela dei propri interessi, che non per forza devono essere in linea con quelli della Società che rappresenta in ambito lavorativo. Esistono una sfera privata ed una sfera professionale, comprendente a volte più attività non per forza legate tra loro da interessi comuni e un Tribunale dello Stato ha riconosciuto questa scissione che nessun piangina potrà mai confutare. Anche un bambino lo capirebbe. Per ciò che concerne Antonio Giraudo, la situazione della Juventus F.C. non cambia di una virgola, poiché anche se lo stesso AD fosse riconosciuto come appartenente all'Associazione certificata dalla Sentenza di Napoli, per i motivi sopra esposti tale posizione non implicherebbe automaticamente un coinvolgimento dei vertici bianconeri.
Spiegazione per i bimbi: la posizione di vertice occupata da Moggi e Giraudo non collega automaticamente i loro atti alla genesi di un vantaggio per la squadra per cui lavorano, come invece accaduto nel caso di Gabriele Oriali. Nel caso in cui dalla Sentenza fosse risultata la prova dell'alterazione del campionato (non provata) o del taroccamento dei sorteggi (esclusa), non sarebbe stato possibile scindere le posizioni dei Dirigenti da quella della Società, ma in questo caso si tratta, ribadisco, di Responsabilità (ai limiti dell'ipotesi di tentativo) assolutamente personali, dovute ad atti finalizzati a vantaggi di carattere privato.
Bene, detto dell'aspetto legale inattaccabile, ricordo che nella giustizia sportiva il criterio di distinzione tra le varie sfumature di responsabilità è stato universalmente e ciclicamente riconosciuto e applicato in vari episodi arcinoti ai più. Due per tutti: la posizione di Meani in calciopoli e quella di Oriali / Ghelfi in Passaportopoli. Nessuno infatti nel 2006 si è posto la domanda "eh già, ma per conto chi ha operato chi ha truccato il passaporto di Recoba?".
Per ciò che concerne invece la teoria del popolino, che grida a gran voce "il tentativo di frode è sufficiente per integrare l'ipotesi di reato", in questo caso solo un cieco non vedrebbe che qualsiasi condanna nei confronti degli attuali imputati costituirebbe esponenzialmente un'analoga prova di colpevolezza nei confronti di chi invece si è avvantaggiato di questa situazione. Se infatti fosse sufficiente un tentativo di frode per essere retrocessi e penalizzati economicamente, la Società nerazzurra avrebbe dovuto espiare quanto meno le stesse colpe degli altri, dato che la relazione di Palazzi diceva: "Questo Ufficio ritiene che le condotte in parola siano tali da integrare la violazione , oltre che dei principi di cui all'art. 1, comma 1, CGS (codice di giustizia sportiva, ndr), anche dell'oggetto protetto dalla norma di cui all'art. 6, comma 1, CGS, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della società Internazionale F.c., mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza, che devono necessariamente connotare la funzione arbitrale. Oltre alla responsabilità dei singoli tesserati, ne conseguirebbe, sempre ove non operasse il maturato termine prescrizionale, anche la responsabilità diretta e presunta della società ai sensi dei previgenti artt. 6, 9, comma 3, e 2, comma 4, CGS". Un po' meno grave la posizione del tesserato Massimo Moratti: "Comunque informato della circostanza che il Facchetti avesse contatti con i designatori, come emerge dalle telefonate commentat e, nel corso delle quali è lo stesso Bergamo che rappresenta tale circostanza al suo interlocutore. (...) Ne consegue che la condotta del tesserato in esame, Moratti, in considerazione dei temi trattati con il designatore e della frequenza dei contatti intercorsi, appare in violazione dell'art. 1 CGS vigente all'epoca dei fatti, sotto i molteplici profili indicati".
Per non fare l'Interista devo ammettere che quella di Palazzi è solo una relazione e non una Sentenza di condanna, ma al contempo costituisce un esempio lampante di quella disparità di trattamento denunciata con forza da Andrea Agnelli, soprattutto ove si consideri che in questo caso Moratti, Presidente della Società, era a conoscenza dell'operato di Facchetti.
Conclusione: Moggi colpevole in seguito a ipotesi di tentativo di frode, Juve estranea, illecito di Facchetti, Moratti a conoscenza. Se questa è equità! Questa non è una lezione di Giurisprudenza, ma di lingua italiana.
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