Anni di magie e di gol, da quel fatidico 1993, anno del debutto di Del Piero in bianconero. E linguacce, anche a tutti quelli che mille volte l’hanno criticato e giudicato inesorabilmente finito, bollito, vecchio, da rottamare.
Nonostante l’inopinato non uso che ne fece Capello, firmò in rovesciata quel successo sul Milan (anche se il gol fu segnato da Trezeguet) che ci valse lo scudetto 2004/05. Il vizio di tenerlo un po’ ai margini si è ripetuto con i vari allenatori succedutisi nel tempo, ma lui, senza polemiche, entrava per pochi minuti e risolveva la partita. Come altri accettò la Serie B nonostante il Mondiale di Germania appena vinto. Sempre senza uscire dalle righe: un vero e proprio Stile Del Piero nell’ambito dello Stile Juve.
Il campione che ha fatto gol in tre diversi stadi di casa, il fidanzato d’Italia, l’Uomo dell’Uccellino e dell’acqua d’Uliveto, della Cristina Chiabotto e della suora dispettosa, lo sposo che impalma la sua bella quasi di nascosto, senza speculare sulla vendita delle immagini della cerimonia, ha iniziato in bianconero a diciannove anni, facendosi strada tra Vialli, Ravanelli, Möller e Robi Baggio, con questi ultimi costretti a far le valigie.
Con alcune partite in prima squadra contribuisce alla vittoria di Scudetto e Coppa Italia; da protagonista, invece, la Coppa Carnevale e il Campionato Primavera. L’anno successivo compare il marchio del “Gol alla Del Piero”, con Champions League e Intercontinentale, sigillata da un gol del Nostro, che diviene Pinturicchio, in un Grande Slam a tutti gli effetti, con la Supercoppa Italiana del gennaio e la Supercoppa Europea del febbraio 1997. Via Vialli e Ravanelli, arrivano Zidane e due Scudetti di fila. L’8 novembre 1998, in un generoso tentativo di recuperare un pallone destinato fuori, s’infortuna al ginocchio sinistro.
Rientra il 4 agosto 1999 e da Pinturicchio diviene Godot. In squadra, oltre a Inzaghi e Kovacevic aumenta la concorrenza con l’arrivo di Trezeguet. Ed in quel 2001, in cui gli muore il padre, rinasce calcisticamente, pur senza conquistare trofei. Arrivano Buffon, Thuram e Nedved e con Trezeguet segna a mitraglia: è nuovo scudetto, il ventiseiesimo, quello che fa piangere Ronaldo. Ecco il Mondiale in Giappone e Corea, in cui Del Piero è uno dei pochi a salvarsi, poi lo scudetto numero 27, il quinto per Ale, in memoria dell’Avvocato, morto il 23 gennaio 2003. Un paio di Supercoppe, un altro Mondiale da scordare e, con Capello in panchina, ecco Emerson, Cannavaro ed Ibrahimovic.
Nel frattempo è morto anche Umberto Agnelli, che non riesce a godersi l’inizio della dittatura calcistica della Juve. Ale non gioca molto con Capello, ma la Juve stravince due scudetti. Il contributo di Ale si fa sempre sentire e il 20 gennaio 2006, con una tripletta alla Viola in Coppa Italia, arriva a 183 reti, superando in marcature Boniperti, colui che lo volle in bianconero.
La Juve sta festeggiando a Bari il 29° scudetto, dominato dall’inizio alla fine, quando scoppia Calciopoli. Visto che l’Italia forcaiola vuole la Juve e solo Lei, in Serie C2, ma vuole anche vincere il Mondiale, fa incetta di bianconeri e del loro ex-allenatore per vincere in Germania. Umile come solo i grandissimi, Del Piero è presente senza fare una piega in Serie B, in un torneo stravinto dalla Juve e con Ale capocannoniere.
Quella che poteva essere l’inizio di una rinascita irresistibile, è vanificata da una dirigenza poco avveduta, che defenestra Deschamps e affida la squadra a persone che non aiuta (Ciro Ferrara), o francamente non da Juventus (Del Neri, Ranieri, Zaccheroni). Ma Ale c’è sempre, e finalmente in una squadra all’altezza: pur continuando a giocare col contagocce, continua a lasciare il segno: supera le 700 presenze, diviene recordman delle segnature e degli scudetti vinti con la stessa maglia (288 reti, prima di Juve-Atalanta; 8 scudi, come Furino).
Fosse per me, continuerebbe a stabilire record in maglia bianconera, ma non sembra che la Società sia d’accordo. Io lo farei giocare anche con 40 di febbre, mentre altri lo vorrebbero a deliziare i ruvidi palati giapponesi (sushi, ohibò) o nel soccer a soddisfare le ineducate fauci americane (l’avete mai mangiata la loro pizza col tomato chetchup?). Non sia mai! Alessandro deve restare da noi, con noi e per noi. E gli unici palati, occhi e cuori che deve deliziare, sono i nostri. Perché quello che Boniperti ha unito Agnelli non separi.
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