Si chiama macrofobia, parola che ha origine greca e letteralmente si tradurrebbe come “paura delle cose grandi”: è il termine con cui viene identificata la paura dell’attesa, una delle tante fobie dei giorni nostri, nondimeno in assoluto una delle meno note e meno studiate in profondità. La patologia si manifesta sotto forma di ansia e di insicurezza, e in alcuni casi arriva ad imporre all’individuo affetto di sottrarsi completamente da ogni contesto che possa generare la situazione di dover attendere. Le cause, probabilmente, sono invece da ricercarsi in qualche evento che abbia ingenerato nel soggetto macrofobico la sensazione di essere completamente devastato dall’impotenza, al punto di sentirsi spettatore passivo di un qualcosa di incontrollabile.
Non è una novità che i ritmi della vita di oggi, le imposizioni sociali, le crisi economiche e un certa cultura dell’apparire abbiano come riflesso una lunga serie di disturbi della psiche più o meno importanti e più o meno condizionanti. Stupisce in effetti che la macrofobia non sia ancora assurta alle cronache, ma probabilmente questo è avvenuto semplicemente perché l’individuazione della patologia è recente. In effetti, ironicamente, forse basterà giusto … attendere un po’. Del resto non si vede come sia possibile porre un freno a questo disturbo, in una società dove tutto viene vissuto di fretta, dove in azienda ogni lavoro viene richiesto “ASAP” (as soon as possibile), possibilmente per ieri si intende (questione di vita o di morte, ogni volta), dove qualsiasi avvenimento trova spazio su internet due minuti dopo essere accaduto, quando non su un video di youtube, dove si mangia in cinque minuti a pranzo per tornare subito in ufficio, e altre moltitudini di esempi. Qualcuno ha detto che nella società di oggi il tempo della vita non è più né ciclico né lineare, com' era normalmente per le altre società note della storia moderna o premoderna, bensì puntinista, ovvero fatto di tanti piccoli momenti ricavati di fretta…e i punti, come la geometria insegna, esistono in quanto tali, ma sono privi di qualsiasi lunghezza, larghezza e profondità: come a dire che non hanno spessore. Una società insomma che è schiava della cultura del “carpe diem” e dunque della “tirannia del momento”. E come potremmo mi chiedo, chi più chi meno, non essere affetti da questa diavolo di macrofobia?
E perché mai il mondo dello sport, e quindi anche quello del calcio, dovrebbe essere esente dal soffrire della medesima patologia? Ne soffre eccome, gli eroi di ieri sono spesso i brocchi o traditori di oggi, e si deve ottenere tutto e subito, senza esitazioni. Tanto per fare un esempio, non è certo inusuale che un presidente di una squadra professionista, in qualsiasi sport (ma soprattutto quelli che hanno un ritorno di immagine) spendano più delle reali possibilità della società pur di vincere subito. E pazienza se poi nel giro di due anni la società fallisce e dovrà poi ricominciare dal mondo dilettantistico. Al limite basterà domani trovare una qualche personalità giusta nel posto giusto al momento giusto per riscrivere le regole a proprio vantaggio. E se proprio l’operazione comunque non riuscisse, pazienza, tanto si troverà comunque una fetta assolutamente significativa di persone che porterà sempre in trionfo il campione per una notte, nonostante i danni incalcolabili che avrà procurato con il successivo fallimento.
A Torino, ed in generale in tutto il territorio italiano e probabilmente non solo, tra gli juventini la macrofobia è palpabile sotto il doppio aspetto, sia esso quello legato alle attese di giustizia dopo la sommaria ed ingiusta esecuzione in quel di farsopoli dell’estate 2006, sia esso quello legato al digiuno di successi e soddisfazioni nell’ambito prettamente sportivo. Nel primo caso individuare l’evento traumatico ad aver innescato la patologia è evidentemente immediato. Senonchè dopo quattro anni di silenzi e assensi del ramo elkaniano della famiglia, responsabile di aver scaricato la triade prima ancora dei procedimenti sportivi, di aver dato mandato al proprio avvocato Zaccone di ammettere illeciti mai consumati, e non aver mai preso le difese della creatura del nonno e dello zio, oggi presidente della Juventus è Andrea Agnelli, figlio del dottor Umberto, che ha invertito la rotta. A precise domande trabocchetto dei giornalisti ha risposto di essere grato alla gestione Moggi-Giraudo-Bettega per l’innovazione e la gestione non solamente sportiva. Ha immediatamente inoltrato esposto alla FIGC in merito a nuovo e vecchio materiale inerente farsopoli, pronto a far presente le ragioni di Madama. E ancor più recentemente, in una intervista rilasciata per l’emittente Sky, ha ribadito che qualora emergessero le possibilità, la Juventus ha tutte le intenzioni di chiedere la revisione del processo e la restituzione dei titoli ignobilmente sottratti. Sembrerebbe dunque che finalmente si stiano creando i presupposti perché anche la società bianconera, oltre naturalmente alla realtà di GiùlemanidallaJuve che dal 2006 non ha mai smesso di lottare neanche per un secondo, si possa rendere protagonista dell’azione legittima di voler riscattare la propria storia, immagine ed anche patrimonio, dal danno ingiustamente subito. Ed ecco qui emergere la famosa macrofobia di cui si parlava: dopo la lunga attesa della parentesi “new holland”, durata quattro anni ma apparsa eterna, moltissimi tifosi che non hanno potuto fare a meno di stare con la coda tra le gambe, improvvisamente si riscoprono impazienti di voler indietro il maltolto. Per quattro anni hanno ingoiato fango incessantemente, e non potevano nutrire nessuna aspettativa. Oggi che si aprono invece degli spiragli di aria fresca, sembra che non possano più resistere: o Andrea Agnelli armato di spada di verità e scudo di coraggio, lancia in resta al suo prode destriero penetrerà nella prossima ora nella fortezza vassalla della FIGC sbaragliando tutti i nemici e riportando a casa gli scudetti prigionieri, oppure anche lui sarà bollato di tradimento. Atteggiamento irrazionale questo del tifoso, certo, benché umano.
E cosa dire degli aspetti calcistici? Il dopo Platini impose ai sostenitori di Madama nove anni di sofferenze, passando dai Magrin ai Soldà ai Rui Barros come stelle della squadra. Poi arrivarono Roberto Baggio, Peruzzi, Del Piero, Conte. Eppure anche con questi arrivi non si vinse subito, fino a quando su queste basi l’accurata gestione di Giraudo, Moggi e Bettega non costruì un’armata quasi invincibile. Quando questa estate il nuovo gruppo dirigenziale ha preso in meno le redini della squadra, la situazione era assai peggiore di quella trovata ai tempi dalla triade. Budget limitato come ai tempi, ma in più un organico costituito da giocatori discreti e poco più, con in aggiunta qualche campione, ognuno dei quali però sul viale del tramonto e percipiente di un ingaggio onerosissimo. Senza contare, in ultima analisi ma non certo per importanza, una rosa con molti ruoli completamente scoperti, in primis le fasce sia in fase d’attacco che di contenimento. Rispetto all’era del dopo Platini sono passati molti meno anni dall’ultimo trionfo, eppure, dopo una sola giornata di campionato e un calcio mercato assai complesso, la maggioranza dei tifosi si è lestamente unita in un giudizio negativo e pessimista sull’operato del nuovo dg Marotta.
Che l’attesa sia difficile è cosa nota. E quante volte in amore proprio l’attesa si è rivelata la prova più difficile, terminata però la quale l’unione si è compattata e rafforzata? Il fatto è che oggi si è perduta l’abitudine ad attendere. I tifosi bianconeri, invece, dovrebbero recuperarne l’esercizio memori del loro speciale rapporto con Madama, del loro canto “Juve storia di un grande amore”, con l’auspicio e la fiducia di esserne presto ripagati. L’attesa è una ginnastica del cuore, quando fa da palestra un grande amore.
|