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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Attualità di M. VIGHI del 24/11/2010 13:49:52
Delneri e l’etica del lavoro

 

“Noi dobbiamo pensare domenica dopo domenica, guardando solo a noi stessi ed al nostro lavoro” . E’ in sintesi questo il ritornello che in ogni intervista di rito post-partita l’allenatore della Juventus, Luigi Delneri, ripete costantemente ed incessantemente. Parole che in un paese dove la dietrologia regna sovrana, dove i giornalisti sportivi si sentono obbligati ad infuocare gli animi, e in un momento storico nel quale tendenza comune è quella di sentirsi tutti psicologi (da quattro soldi), stimolano continue traduzioni ed interpretazioni. C’è chi parla di scaramanzia nel non volere mai ammettere pensieri da scudetto, chi vi vede un atteggiamento di modestia eccessiva, e chi invece legge dietro a quella frase la strategia di volere tenere il gruppo lontano dalle tante tensioni verso l’esterno, mantenendo la concentrazione costantemente all’interno, all’insegna della ricerca del perfezionamento e della coesione tattica, strategica e psicologica. In quest’ultima accezione, almeno come effetti verso lo spogliatoio, non è difficile rinvenire una analogia con i metodi comunicativi di Mourinho.

Sarà forse la grande stima che da sempre nutro verso Delneri che mi spinge a sottrarmi in parte al giochino, e voler invece parafrasare le parole del tecnico di Aquileia anziché interpretarle. E poiché non si tratta di endecasillabi sciolti in antico volgare, quello che traspare parola per parola dalla frasetta riportata in apertura di editoriale, non è altro che il voler affrontare ogni ostacolo con il massimo dello sforzo ogni volta, cercando di ottenere il massimo risultato, continuando a lavorare per perfezionarsi. A casa mia questa sia chiama cultura del lavoro. Anzi, userei persino un termine ancora più forte: etica del lavoro. Guardare troppo agli altri stimolerebbe la concorrenza ed il desiderio di competizione, mentre focalizzarsi esclusivamente sulla singola partita implicherebbe la massimizzazione dell’efficacia verso un singolo evento, trascurando la cura di costruire dei processi che sappiano ripetersi nel tempo mantenendo un elevato grado di performance: ovvero una efficienza dei sistemi. Concentrarsi invece sull’efficienza è necessariamente un’attività che poggia su una capacità di riprodurre i risultati prescindendo il più possibile dai singoli elementi che compongono il sistema, proprio perché è l’intero processo che risulta vincente.
Tutto ciò si chiama lungimiranza. E si chiama serietà, un’attitudine che non poche volte cozza contro il protagonismo. Quel protagonismo che sembra improvvisamente scomparso dall’ambiente di Torino, dove come un tempo si rilasciano pochissime parole: quel silenzio che, come ho già scritto in altre occasioni, lascia alle sue spalle la profonda scia del lavoro.
Va da sé che etica è una parola di sole cinque lettere ma il suo peso specifico è inversamente proporzionale alla sua lunghezza, è più prossimo se mai a un qualcosa come “paralipomeni della batrachiomachia”, o se vogliamo essere più scherzosi “supercalifragilistichespiralidoso”. E normalmente chi la applica nel lavoro la applica nella vita, e viceversa.
Vivere guardando dentro sé stessi, concentrati sui propri sforzi, sulla messa in pratica dei propri valori ed il tentativo di trasferirli ai propri figli ed in generale alle persone di cui ci si circonda, e sul raggiungimento dei propri obiettivi. Fra le proprie quattro mura, come sul posto di lavoro. Un segreto di successo, che permette di guardarsi allo specchio fieri di sè stessi, a prescindere dalla posizione sociale e da inclinazioni politiche, sessuali o religiose. E che mette al riparo dall’invidia e dalle continue tentazioni di prendere le scorciatoie più infime. Perché l’obiettivo è la massimizzazione dei risultati desiderati attraverso la profusione dell’impegno e della convinzione in ciò in cui si crede.

Ho letto un po’ oltre quelle parole di Delneri? Forse. Forse ho letto in me stesso, forse invece non sono lontano dall’aver colto la persona che si cela dietro l’allenatore.
Sia quel che sia, mi piace quello che vedo e quello che sento. E’ con l’onestà, l’impegno e le qualità che si scrivono le pagine migliori. E se anche poi un domani qualcuno volesse strapparle e farsi bello mostrandole come sue, nulla cambierà sulla realtà delle cose. Quelle pagine le avremo sempre riempite noi, con tutto il loro significato e le loro conseguenze. Il valore rimarrà in quell’inchiostro e nel pugno di chi lo ha gettato. E a quel qualcuno che le ha strappate, come con l’inchiostro simpatico, altro non rimarrebbe che un pezzo di cartone privo di valore tra le mani.
 
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