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Attualità di M. LANCIERI del 07/12/2010 07:21:57
Pallone d'Oro al bel gioco

 

Nel calcio, come in tante altre cose della vita, i risultati dicono molto, ma non tutto. E così, guardando i risultati ottenuti nel 2010, poteva essere logico che Snejider ambisse al Pallone d’Oro: vittoria di Champions League, Scudetto e Coppa Italia, secondo posto ai Mondiali, non sono bazzecole. Ma alla fine l’olandese è stato trascurato, per fare posto al trio delle meraviglie del Barcellona: Iniesta, Xavi e Messi.

Critiche o entusiasmo per la scelta lasciano il tempo che trovano: quando c’è da definire il “migliore”, è praticamente impossibile essere unanimi. Ma in questo caso almeno un paio di cose vanno dette.
L’Italia si conferma “provinciale” : sono lontani i tempi in cui lo Scudetto “faceva curriculum”. Certo, i nostri giornalisti si stracciano le vesti e gridano allo scandalo, ma la “triplete” interista ha un peso molto ridotto, dal punto di vista tecnico. Scudetto e Coppa Italia sono crollati ad un valore pressoché infimo, da quando si è deciso di demolire la squadra più forte d’Italia, per assicurare ai nerazzurri un buon gruzzolo di campionati. E la Champions League? Quella vale sempre molto. Ma se la vinci con almeno un episodio indecente a tuo favore per ogni partita, non puoi pretendere che tutto il mondo finga di non vedere. Mai come nella stagione precedente, è stato evidente che i “campioni” non fossero anche i “migliori”. Non solo l’Inter non era la squadra migliore d’Europa, ma non era neppure vicina ad esserlo. E, tanto per rinfrescarsi la memoria, varrebbe la pena di riguardare il penoso catenaccio spacciato per sagacia tecnica, messo in piedi dalla squadra di Moratti a Barcellona, con undici giocatori piantati per 90’ nella loro area, impegnati a spazzare affannosamente il pallone più lontano possibile. Alla fine, nonostante le barricate, era arrivato anche il gol-qualificazione per il Barça, ma l’arbitro pensò bene di annullarlo. E così sull’albo d’oro della competizione è stato scritto il nome “Inter”, ma quale fosse la squadra migliore è stato comunque chiaro a tutti.

Pochi giorni fa, si è giocata Barcellona-Real Madrid. Personalmente, non ricordo di avere mai assistito ad uno spettacolo calcistico di tale perfezione, da parte di una squadra. Caso vuole che due dei protagonisti di quell’incontro siano stati anche i condottieri della vittoria spagnola negli ultimi Mondiali: Iniesta, addirittura, ha segnato il gol-vittoria della finale. Ma questa è solo una “ciliegina”: Iniesta, Xavi e Messi rappresentano il massimo che si può chiedere al calcio, in questo momento. L’argentino, poi, è uno dei rarissimi giocatori in grado di spostare decisamente gli equilibri di una partita da solo. Se il Pallone d’Oro fosse il premio al “migliore giocatore in assoluto”, non sarebbe uno scandalo assegnarlo a lui fin d’ora anche per i prossimi anni (discorso analogo, qualche tempo fa, si sarebbe potuto fare con Zinedine Zidane). Ma premiare quei tre atleti significa anche rendere omaggio ad una squadra che fa dello spettacolo il proprio dogma. E non parliamo di uno spettacolo fine a se stesso, ma di uno strapotere derivante dalla volontà di affrontare chiunque a viso aperto, senza calcoli o speculazioni di alcun genere.

In Italia continueremo a recriminare e a definire quel premio come qualcosa di poco serio (del resto, quando perdiamo è sempre così), ma evidentemente nel resto d’Europa preferiscono ancora divertirsi, quando guardano una partita a calcio.

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