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Attualità di F. ZAGARI del 23/01/2009 01:13:49
Il Giusto Giudizio

 

"Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale".

Questo è stabilito (nulla poena sine lege) dall'Art.7 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà. Secondo i giudici di Strasburgo, lo Stato italiano ha violato l’articolo 7 della Convenzione sancente la non applicabilità della pena se quest’ultima non è prevista dalla legge. La Corte di Strasburgo conferma quanto, a suo tempo, venne rilevato dalla Corte di Cassazione italiana che assolse i costruttori di Punta Perotti "per aver commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretare le disposizioni di legge regionali, essendo queste oscure e mal formulate".
Nella sentenza dei giudici europei si legge che, al tempo in cui si svolsero i fatti, "le leggi in materia di confisca in Italia non erano chiare e quindi non permettevano di prevedere l’eventuale sanzione".
Non vogliamo entrare nello specifico della vicenda, né valutare se la scelta della costruzione, avvenuta nel 1995 sulla spiaggia di Bari, godesse o meno dei requisiti ambientali, ma quello che ci preme sottolineare è l’avvenuto riconoscimento, da parte dei giudici di Strasburgo, della violazione dell’articolo 7 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo.

Infatti, dalle sentenze scaturite dal processo sportivo denominato "Calciopoli", le pene comminate alla Juventus e alla sua dirigenza non erano riconosciute da una legge. Ma andiamo per gradi.

La Juventus venne accusata, nell’estate del 2006, dal procuratore federale Stefano Palazzi, di due illeciti sportivi, riferiti alle partite contestate del campionato 2004/05: Juventus – Lazio e Bologna – Juventus. Altresì, nell’accusa era contemplato un comportamento scorretto (Art.1) per la partita Juventus-Udinese e, nell’ipotesi di una conferma da parte della Corte, anche la logica e consequenziale classifica alterata.
Nella sentenza di primo grado, il presidente della Corte Cesare Ruperto ha così sentenziato: non ci sono tracce di illecito sportivo, le tre partite prese in esame contemplano il solo articolo 1.
La logica conclusione della Corte sarebbe stata quella di escludere automaticamente la richiesta di classifica alterata. Ma non fu così. Si sentenziò che: la somma degli Art.1, contemplati nelle tre partite prese in esame, è stata funzionale al conseguimento di una classifica alterata, indi per cui punibile con l’articolo 6, illecito sportivo.

In soldoni alla Juventus è stata inflitta una pena - la condannata alla serie B con penalizzazione – non riconosciuta dalla legge ed introdotta a processo in corso.
Nella sentenza della Corte d’Appello, presieduta da Piero Sandulli, è stata confermata la sentenza di primo grado, precisando che “la inammissibile somma algebrica di Art.1 è da considerarsi piuttosto come ineliminabili tasselli funzionali alla realizzazione dell'art.6".
In pratica una confessione – inammissibile somma algebrica di Art.1 – suffragata dall’incompatibilità di una legge non prevista – tasselli funzionali alla realizzazione dell’art. 6 -.
Una condanna per omicidio, senza che nessuno sia morto, senza prove, né complici, né arma del delitto e tanto meno surrogata da una legge.

Se a questo si aggiunge l’articolo 25 della Costituzione italiana (Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso) non si riesce a capire con quali criteri una Corte abbia potuto violare per due volte, nello stesso procedimento, la Costituzione Italiana e la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà.

Laddove si aggiungano le dichiarazioni recenti e passate di Piero Sandulli ("l’illecito associativo non esisteva, era una falla nel sistema giuridico, è stato da noi introdotto") si entra direttamente dalla porta principale in un contesto che definire surreale è un eufemismo.

In questi giorni si sta disquisendo, dopo le dichiarazioni di Piero Sandulli in merito all’inesistenza dell’illecito strutturato (l’illecito introdotto), sulla differenza tra Giustizia Sportiva e quella Ordinaria. Ognuna con le sue regole, leggi e codici.
Qui il punto è un altro. Qui si parla di diritti, di una pena scontata per essere stati condannati tramite una legge che non esisteva.

GiùlemanidallaJuve, dopo essere scesa in prima linea per la difesa della Juventus in Italia (dove pende un ricorso al Consiglio di Stato), ha piantato una bandierina a Bruxelles (in Europa!), presso la sede della Commissione Europea per la Concorrenza, perché un giorno, speriamo non lontano, quella Convenzione possa restituire una volta per sempre la Storia che ha contraddistinto per oltre cento anni il cammino della Juventus.
E poco importa se gli scudetti saranno ventisette o ventinove o se quel sentimento popolare riuscirà a cavalcare una nuova onda, quello che sarà importante per chi crede ancora nella giustizia è che una vicenda, nata male e continuata peggio, possa finire con il giusto giudizio.

Intanto due giorni fa Luciano Moggi, ex dg della Juventus, è stato assolto dall'accusa di diffamazione nei confronti dell'Inter. Lo ha deciso il Gup di Milano, Marco Maria Alma, che non ha ritenuto diffamatorie le dichiarazioni che l'ex dirigente juventino rilasciò al quotidiano Libero nel luglio 2006. Ad una domanda fatta da un giornalista sulle squadre che non erano state punite come invece era accaduto a lui e alla Juventus, Moggi rispose parlando del falso passaporto di Alvaro Recoba, affermando che, in quell'occasione, la squadra presieduta da Moratti aveva patteggiato senza ulteriori conseguenze.
Per queste dichiarazioni l'Inter querelò Moggi per diffamazione, ricordando che Gabriele Oriali e Recoba avevano patteggiato la pena presso il tribunale di Udine. Ma il gup di Milano ha ritenuto che le parole di Moggi fossero solo espressione del diritto di critica, al massimo imprecise, ma non penalmente rilevanti.

E ci mancherebbe solo che una persona, parlando di fatti realmente accaduti e di cui tutti sono a conoscenza, venisse condannata per diffamazione.


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