L’atteggiamento nei confronti di un individuo o un gruppo di individui si identifica come
discriminatorio quando vi è la contemporanea presenza di due fattori: un trattamento non paritario rispetto agli altri, ed una assenza di giustificazione per tale disuguaglianza.
Probabilmente la condizione di discriminati, in ragione del contesto e non necessariamente con reale rispondenza ai fatti, è una sensazione che quasi tutte le persone ritengono di aver vissuto; dall’esclusione da alcune compagnie per differente estrazione sociale, all’allontanamento dal campetto perché gli altri ragazzi credono di essere piccoli fenomeni mentre tu ti ritrovi con il classico “piede a banana”, all’isolamento nella prima età adolescenziale per eccesso di zelo come studente e poca propensione alla socialità, ai tanti casi di bullismo recentemente portati alla ribalta dalla cronaca…
Dagli esempi più ludici e banali come qualcuno sopra esposto, a quelli più gravi che richiamano le atrocità di cui si è macchiato il secolo appena concluso (ma quello nuovo non sembra comunque esente dal dover fronteggiare il problema), la discriminazione rievoca il
pregiudizio come parente tra i più stretti, ed il
classismo e clientelismo come alcune tra le sue applicazioni più frequenti.
Può essere azzardato sostenere che anche il popolo juventino è in una certa maniera stata vittima di questa oscura condotta?
Nell’immaginario collettivo e nelle sue tristi rappresentazioni nel corso della storia, il bersaglio delle discriminazioni sono generalmente sempre state le categorie meno forti o meno numerose. Sembrerebbe pertanto paradossale voler identificare i nostri colori bianconeri, da sempre i più vincenti ed i più sostenuti dai tifosi, soccombenti ad atteggiamenti discriminatori.
Eppure, a voler ben guardare, il concetto è proponibile in ben tre accezioni.
I tifosi di Madama si sono dovuti adattare negli anni (non tutti…) a sentirsi apostrofare come “ladri”. Ancora oggi possiamo constatare come ad ogni occasione nelle trasmissioni televisive ogni episodio arbitrale favorevole alla Signora venga vivisezionato e diventi immediato oggetto di dietrologie, contrariamente a quanto avviene per ogni nostro avversario calcistico. A casa mia questo si chiama pregiudizio (pregiudizio indotto dai mass-media…!). E perdonatemi se, nelle tre accezioni che ho iniziato ad accennare, ho inserito in testa questa. Ma la condizione di tifoso è mia come vostra che leggete, e me la sento sulla pelle.
In secundis, come dimostrato del resto anche dall’Osservatorio sugli errori arbitrali, in buona compagnia con il resto delle squadre del trofeo aziendale Tim assistiamo impotenti al trattamento di favore nei confronti della squadra meneghina sponda nerazzurra, che al momento della redazione di tale statistica risulterebbe aver usufruito di decisioni arbitrali che ne avrebbero condizionato un incremento di punti in classifica sontuoso: +11. Tanto più impotenti, gli avversari dell’ex Ambrosiana, da quando la bufera di farsopoli sembra aver spazzato via ogni forma di resistenza nei confronti del controllo dei nuovi (?!?) potenti in ogni direzione…
Infine, last but not least, come non menzionare lo scandaloso pseudo processo sportivo dell’estate del 2006? Se trattamento non paritario rispetto agli altri ed assenza di giustificazione sono i parametri per inquadrare un atteggiamento discriminatorio, mi pare che nessun’altra definizione si adatti maggiormente a quel teatro dell’assurdo che vide la Juventus sprofondare nel baratro della serie B senza aver commesso illeciti sportivi, quando qualche tempo prima il reato relativo ai passaporti falsi commesso dal dirigente delll’Internazionale Oriali ebbe invece in comparazione come sanzione una carezza, a fronte di conclamato illecito…
L’abbiamo detto tanto volte: lo sport, e quindi conseguentemente anche ogni sua manifestazione, come il calcio, è e dovrebbe essere specchio della vita quotidiana.
Sfortunatamente questo assunto resta valido anche nelle sue espressioni più negative.
Tra queste il razzismo, la forma più esecrabile di discriminazione.
Recentemente abbiamo assistito ai casi di Sissoko e Balotelli , bersagli di fischi e insulti ignoranti.
Problema non solo italiano, come nel caso del ghanese Mensah, vecchia conoscenza del calcio nostrano ed oggi difensore del Lione, arrivato addirittura a farsi espellere come segno di protesta.
Come reagire di fronte a queste isolate ma continue forme di resistenza alla agognata cultura finalmente globalizzata ed interrazziale?
Attingendo all’esempio del calcio inglese, una interessante riflessione viene sviluppata da Gad Lerner:
" Il calcio inglese ha debellato da anni il fenomeno della violenza negli stadi che da noi in Italia pare, chissà perchè, inestirpabile (la verità è che i nostri club mantengono un rapporto corrivo con le tifoserie più incivili).
Ora il capitano del Portsmouth, Sol Campbell, lancia una proposta ulteriore per sbarazzarci dagli slogan e dagli striscioni che propagano l’odio razziale: le squadre i cui tifosi insultano gli avversari per il colore della pelle o l’appartenenza etnica, subiscano la penalità sotto forma di punti in meno nella classifica del campionato. Giusto, stragiusto. Probabilmente questo è l’unico linguaggio che quei brutti ceffi sono in grado di intendere. […]Raccogliamo dunque anche in Italia la saggia proposta di Campbell per estirpare dagli stadi la mala pianta dell’odio etnico”. Potrebbe rappresentare una soluzione questa proposta?
Potrebbe.
Come ogni forma di discriminazione e demagogia, il razzismo si alimenta attraverso il sentimento popolare, veicolato facendo leva sull’ignoranza e sulla convenienza.
E’ quindi alla base, alla cultura ed al senso di responsabilità dei singoli individui che si deve mirare per un innalzamento di livello.
Mi permetto di avanzare una piccola modifica all’idea di Sol Campbell: nel caso in cui vengano individuati i colpevoli, la penalizzazione dovrebbe decadere.
Nessun dubbio che penalizzare una squadra di calcio per colpa dell’imbecillità di una manciata di suoi tifosi rappresenterebbe comunque una iniquità.
Ciò non toglie che l’assunzione di questa misura imporrebbe conseguentemente una presa di coscienza dei tifosi, che per non veder svantaggiati i propri beniamini si vedrebbe incentivata ad individuare ed allontanare i colpevoli di tali atteggiamenti.
Non è certo una soluzione di semplice applicazione, me ne rendo conto. La certezza di determinare con chiarezza gli autori della vergognosa condotta andrebbe garantita, e pertanto potrebbe imporre, ad esempio, un sistema di telecamere a copertura dell’intero stadio con la conseguente possibilità di utilizzo dei filmati a suffragio delle eventuali accuse.
Sarò sembrato forse semplicista e mi si creda non lo voglio essere.
In una recente intervista pubblicata sul Guerin Sportivo, il centrocampista del Palermo Fabio Liverani, di madre somala e primo coloured a vestire la maglia della nostra nazionale nel 2001, alla domanda se nel calcio il problema razziale esista, così risponde:
“Sì, esiste ed è sotto gli occhi di tutti. La maggior parte delle persone che vengono allo stadio non condividono queste dimostrazioni di intolleranza e manifestano il loro dissenso. C’è una presa di coscienza, ma bisognerebbe fare molto di più per riuscire ad avere la meglio sull’ignoranza e sull’imbecillità”. E allora, se la maggioranza delle persone non condivide, che lo manifesti davvero.
Isoliamo chi vuole isolare. Lavoriamo sul
senso di responsabilità dei singoli individui.
E il concetto valga naturalmente in ogni direzione. Per esempio, la protesta eccessiva di Mensah non piace a Liverani (
“non è da professionista” ).
E
l’onestà intellettuale sia un chiaro supporto di questo senso di responsabilità. Se Sissoko sembra riuscire ad essere superiore ai cori degli incivili, Balotelli invece, stante alle dichiarazioni di Mourinho, si innervosisce. Sarà vero? Se è vero, incitiamo Balotelli a seguire l’esempio di Sissoko, con tutta la nostra solidarietà nei confronti del giovane attaccante nerazzurro verso quei minus quam. Se invece il nervosismo ha altre origini, la scorrettezza dell’allenatore portoghese dell’Inter sarebbe grave: in quel caso si cerchi un altro appiglio per mascherare il nervosismo di Balotelli. Addurre al fattore razzista non sarebbe corretto né responsabile.
Era il 1964 quando il regime dell’apartheid sudafricano condannava Nelson Mandela all’ergastolo. Pressoché certo della sua imminente condanna a morte, il leader dell’ANC pronunciava il seguente discorso , tenendo personalmente la propria arringa difensiva:
”Ho combattuto contro la dominazione dei bianchi ed ho combattuto contro la dominazione dei neri. Ho vissuto con l'ideale di una società libera e democratica in cui tutte le sue componenti vivessero in armonia e con uguali opportunità. E' un ideale che spero di realizzare. Ma, se ce ne fosse bisogno, e' un ideale per cui sono disposto a morire.
Di queste ed altre parole dovremmo cibarci ogni giorno…
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