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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Farsopoli di M. LANCIERI del 07/07/2011 08:04:20
La differenza tra Moggi e gli altri

 

Fino all’estate del 2006, era consentito telefonare ai designatori. Di più, il colloquio tra dirigenti delle società di Serie A e i vertici arbitrali era incentivato dalla stessa Federazione, che sull’onda del “volemmose bbene” comandato da quei giornali che per informazione intendono l’attività di “orientare l’opinione pubblica” chiedeva a tutti di confrontarsi pubblicamente e privatamente sulle perplessità dovute ad arbitraggi non convincenti. Era un modo per stemperare gli animi e, quello che più conta, era consentito farlo, “piaccia o non piaccia”.

Nell’oceano pallonaro non sguazzano solo pesci rossi e paperelle: essendoci di mezzo tanti soldi, le venti squadre della massima serie (e anche quelle delle categorie inferiori) hanno liberato da tempo i loro squali, che se si distraggono un attimo vengono immediatamente azzannati dagli avversari.
E allora non avrebbe dovuto sorprendere nessuno che, tra le tante telefonate intercorse fra designatori e dirigenti, ce ne fossero alcune che tendevano a renderseli, se non proprio amici, almeno non nemici. Ma soprattutto non c’era da meravigliarsi se i più forti chiedevano costantemente di essere arbitrati dai fischietti migliori. Perché? Semplicemente perché riducendo l’alea degli errori arbitrali, era più probabile la vittoria della squadra più meritevole.

E invece nel 2006 ci vollero fare credere che ci fosse una sola persona che chiamava continuamente i designatori: quel mostro era Moggi. E allora giù con le sassate: Luciano meritava la lapidazione, prima di tutto perché telefonava, ma ancora di più perché era un ladro juventino.

Qualsiasi persona dotata di un minimo di cervello avrebbe dovuto farsi una domanda: ma se era consentito chiamare i designatori, perché l’unico a farlo era Moggi? Eppure, a chiederselo furono pochissimi: tutti gli altri erano indaffarati ad annodare i cappi da sventolare in piazza e non avevano tempo per pensare.
In Italia, si sa, non contano le sentenze dei tribunali: contano solo quelle dei giornali. Se poi quei giornali si chiamano Corriere, Gazzetta o Repubblica, le loro parole valgono più dei Vangeli. E così Moggi fu condannato dall’“opinione pubblica” ad essere additato come mostro distruttore del calcio per l’eternità. Era inutile difendersi: Moggi era il diavolo che aveva per tanti anni depredato il santuario nerazzurro, in cui i santi Moratti, Facchetti e Oriali si erano lasciati martirizzare per il bene del calcio.

Questa fu la penosa “verità” che ci fu propinata in quei giorni e che ancora oggi qualche morattiano integralista vorrebbe riconfermare. Ma, al di là degli ultimi samurai a difesa del fortino interista, c’è ancora oggi da stupirsi, considerando che la stragrande degli sportivi italiani, juventini in testa, nel 2006 accettarono come vera una balla di dimensioni cosmiche, senza battere ciglio.
Ma poi succede che la Verità, quella vera, con la “V” maiuscola, talvolta salta fuori. E a farla uscire in questo caso è stata la cocciutaggine di chi a fare da mostro non ci sta ed il rancore di un manipolo di juventini di “serie C”, che non si sono stancati di urlare la propria sete di Giustizia (anche questa, con la “G” maiuscola).
E scopriamo che i fatti vanno ben oltre quanto pensassimo, perché noi eravamo convinti che tutti telefonassero ai designatori, dal momento che era consentito farlo, ma c’era anche chi aveva rapporti molto stretti e continui direttamente con gli arbitri. C’era chi preparava “trappole” agli avversari, per mezzo di questi contatti. Insomma, c’era chi giocava veramente sporco. Ma era talmente scarso ed incapace, che non riusciva a vincere ugualmente.

Alcuni “addetti ai lavori” insistono a chiedere di mantenere le distanze tra l’operato di Moggi e quello dei dirigenti interisti (vivi o defunti che siano). E noi accettiamo di buon grado l’invito. Moggi non era (e non è) un santo, ma almeno giocava stando alle regole. Gli altri no. Ma la differenza di capacità era talmente grande che chi giocava sporco perdeva ugualmente. Insomma, da una parte c’era un concorrente capace (di più, un autentico fuoriclasse), furbo ma corretto; dall’altra c’era una banda di inetti, tonti e scorretti, le cui malefatte (come la falsificazione di passaporti, i pedinamenti, i contatti con arbitri in attività) non erano sufficienti a recuperare il divario professionale con i concorrenti. Eccola qui, la differenza!
 
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Dopo la Cassazione su Moggi, cosa dovrebbe fare ora la Juve?
 
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