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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di L. BASSO del 25/04/2009 21:21:15
Caro Adriano…

 

Sono un “ragazzo” di 39 anni, innamorato del pallone da quando ho smesso di gattonare.
Abito a Torino, e tifo per la squadra che, negli anni, ha dato tanti dispiaceri alla squadra di Milano per cui sei stato finora tesserato, perlomeno fino a che non è scattata quella che alcuni chiamano ancora “la grande Pulizia” e che molti chiamano invece “la grande Truffa”.

Ma non è di Farsopoli, di scudetti reali o di cartone o di aiutini arbitrali che voglio parlare oggi.
Né lasciare, per quanto possibile, che la mia lettera all’UOMO Adriano venga in qualche modo contaminata dai miei sentimenti per la MAGLIA che quell’uomo ha indossato.

Negli ultimi giorni i giornali sportivi e quelli di gossip si sono sbizzarriti a riportare resoconti dei tuoi festini, dove di volta in volta sembrava esserci qualche invitato in più: dalle cubiste si è passati alle meretrici, da loro alle dive transex, da queste ultime ai narcotrafficanti…

…non mi stupisce, sai? Se i giornalisti sono riusciti a far diventare un ex capostazione l’incarnazione del Male Eterno, partendo da un mojito ed una “cannetta” in compagnia riuscirebbero ad arrivare anche a dimostrare che nel locale c’erano pure Bin Laden e il Mullah Omar.
Addirittura, come in ogni gossip che si rispetti, ad un certo punto è subentrata la componente “noir”: Adriano non è tornato in Italia perché è MORTO!
E tanti saluti al primo comandamento del giornalismo: verificare le notizie prima di pubblicarle.
Poi, fortunatamente, la smentita, anche se il contenuto non è di quelli propriamente gioiosi.
Si parla di depressione. Si parla di problemi “di bottiglia”. E si parla soprattutto di disamoramento per il calcio.

Chi mi conosce sa che il “Grillo Saggio” non è mai stato il mio modello di vita, non sono mai stato il tipo che dispensa consigli o, peggio, gira il ditino nella piaga dicendo “te l’avevo detto, io”.
E, ugualmente, non ho mai amato il qualunquismo imperante di chi giudica i calciatori di oggi una categoria di bambocci idioti privi di ogni morale, di ogni inibizione, di ogni valore fuorché di quelli monetari. Da sempre, infatti, il calcio ha vissuto di questi strani dualismi tra il Diavolo e l’Acqua Santa: la sregolatezza di Maradona e la compostezza di Platini, Rui Barros che veniva mandato dall’Avvocato a tagliarsi i capelli prima di firmare il contratto e Falcao che invece seminava figli per tutta Roma… per arrivare ad oggi con gli estremi dei festini tuoi e di Ronaldo contrapposti alla castità di Kakà e Legrottaglie. Lo stesso fu anche in altri sport… basti ricordare l’automa Ivan Lendl contro John Mc Enroe che spaccava le racchette manco fosse stato Paul Simonon col basso sulla copertina di London Calling.

Ma stavolta non posso esimermi dal farti una grossa tirata d’orecchie.
Già, perché indipendentemente dalla maglia per cui giochi, o meglio, hai giocato fino a poco fa, ci sono un paio di cose su cui non posso passare sopra.
Innanzitutto la depressione, qualsiasi siano le sue ragioni, non ha la sua cura nelle bottiglie. E nemmeno in altre sostanze che te l’allontanano per una sera. Lo so e lo so bene, perché tanti anni fa, quando io ero piccolo così e tu forse non eri nemmeno nato, mio padre pensò di aver trovato una cura miracolosa per i suoi guai sul fondo di una bottiglia.
Naturalmente non funzionava, e anzi peggiorava ogni giorno il suo corpo, oltre che il suo spirito. Ma lui non ci credeva, e così ha insistito, ha insistito, ha insistito… e oggi è solo più una foto sbiadita su di una lastra di marmo, una di tante cellette di un alveare dove riposano le ceneri di quelli che non sono più con noi.

Per carità, la vita appartiene ad un Ente Supremo (se si è credenti) o ad ognuno di noi, quindi io non ho alcun diritto di criticare il modo che qualcuno sceglie per viverla o per perderla.
Ed allo stesso modo io non ho mai criticato né mai criticherò i gusti di letto di nessuno. Per me ognuno è libero di dividere le proprie lenzuola (o anche un plaid a scacchi o il sedile posteriore di una macchina) con gli più gli aggrada: persone del sesso opposto, persone dello stesso sesso, persone dal sesso indistinto. E se da Oltretevere mi arriverà una scomunica, pazienza. Io, pur se credente, rispetto di più l’Articolo 3 della Costituzione “Tutti gli uomini sono uguali senza distinzione” che i dettami di chi oggi vuole far passare gli omosessuali per malati gravi da rinchiudere da qualche parte con una bella pezza sulla manica.

Ma su di un’altra cosa, caro Adriano, devi ascoltarmi.
E non mi puoi controbattere. Non mi puoi contraddire.

Io non sono mai stato scelto per primo quando a scuola si faceva la conta per le squadre; ero uno di quelli che –di solito- li spedivano in porta perché davanti giocavano quelli bravi.
Poi, crescendo, grazie al fisico, alle spallate, alla malizia, alla mia testaccia dura, mi sono guadagnato una maglia.
Ma, purtroppo, quella maglia l’ho sempre portata in giro per campi di polvere, in quei campionati cosiddetti minori dove non si vince nulla, ma si sputa l’anima manco fosse la Champions’ League.
Ho preso e dato calci, ho giocato su campi al limite dell’umano, altro che del praticabile.
Ho aspettato amici perennemente in ritardo, ho preparato il tè nel termos dove i semi del limone intasavano sempre il rubinetto.
Ho fatto disperare una madre prima e una moglie poi perché lavavo le scarpe da calcio nella vasca da bagno.
Mi sono svegliato rincoglionito alla mattina per andare al lavoro perché alla sera prima si giocava alle undici.
E ho pianto il giorno che la nostra squadretta si è sciolta, perché ai ventenni non andava più di prendere freddo la sera mentre io, ben più “maturo”, avrei giocato anche in Siberia.
Tanto, rispetto a quei campi dove eravamo, sarebbe cambiato poco.
E soprattutto la “rovesciata” non sono mai riuscito ad imparare a farla.

Tu invece hai avuto questo dono dal Signore, dalla Madre Natura, da Zoroastro o da chi cavolo sia.
Con questo dono hai imboccato la via della celebrità, mentre molti tuoi compaesani e coetanei hanno preso quella della disperazione delle favelas.
Tu hai giocato a San Siro, al Delle Alpi, ad Anfield Road, al Bernabeu… nomi che fanno rizzare i capelli a chiunque abbia mai dato solo un calcio ad un pallone.
Per fare quello che per me è sempre stato un passatempo dopo il lavoro, sei stato pagato come un nababbo.
Ed ora basta, troppo stress.
Già, perché lo stress è doversi svegliare alle 9 per essere all’allenamento alle 11, mentre io mi alzo alle 5 e mezza per accompagnare mia moglie al lavoro e mia figlia all’asilo prima di andare in ufficio.
Perché lo stress è un fotografo che ti può “pizzicare” ubriaco fradicio in un locale e sbatterti in copertina, mentre a me il massimo che può capitare è che mi venga a pizzicare il buttafuori e mi scaraventi fuori dalla porta di servizio.
Perché lo stress è un presidente a cui consigliano di farti una multa per i tuoi comportamenti scorretti, mentre un qualsiasi dipendente si può beccare una cassa integrazione anche se il suo comportamento è ineccepibile.
No, Adriano, non ci sto.

Non ci sto perché io –purtroppo- non ho mai avuto quel dono sul quale oggi tu sputi.
Intendiamoci, ne ho avuti altri, importantissimi, enormi… una casa, un lavoro, una figlia bellissima, la salute…
Ma il pallone no.
Il pallone l’ho sempre amato ma, per me, è stato come innamorarsi della ragazza più bella del paese. Accontentarsi di vederla da lontano, gioire se la incroci per strada e ti sorride, ma sapere che non potrai mai stringerla tra le braccia.
Tu invece questa ragazza l’hai avuta.
Di più, è lei che ti è venuta a cercare dove e quando meno te l’aspettavi, e ti si è gettata al collo, ti si è concessa completamente.
Ma tu l’hai tradita, l’hai maltrattata, l’hai abbandonata.
E se tu oggi ne soffri, o dici di soffrirne, non puoi immaginare come ne soffra chi, come me, quella ragazza l’ha sempre amata ma limitandosi a guardarla passare da lontano…
Chi ne avrebbe fatto la sua principessa, la sua regina non può accettare che tu la tratti in questo modo.
Al di là di qualsiasi siano le tue abitudini più o meno condivisibili.


« Ho speso un sacco di soldi per alcol, donne e macchine veloci... Tutti gli altri li ho sperperati. »
(George Best)

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