Erano gli anni dell’Impero e del “grande posto nel mondo” che qualcuno, da un balcone, prometteva all’Italia.
Erano gli anni in cui nel calcio c’erano meno “veline” e meno locali notturni, ma forse i calciatori erano più “uomini”. Non già nel senso viril-sessuale del termine, ma nel senso che i difensori tiravano una riga per terra con lo scarpino e dicevano all’attaccante “tu di qui non passi, con le buone o con le cattive”. Ma ovviamente l’attaccante non si tirava indietro.
Nel senso che le discussioni sulla virtù della sorella non si risolvevano con una testata in mondovisione ma nel chiuso degli spogliatoi. E senza inchieste parlamentari il giorno dopo.
Nel senso che Cesarini, Mazzola, Varglien potevano passeggiare per Torino e andare a comprare le “bignole” senza dover temere il Corona di turno.
In quegli anni toccò ad un Agnelli mostrare per la prima volta agli occhi degli italiani quello che sarebbe stato il “calciomercato”.
Scatenando un mezzo incidente diplomatico con l’Argentina, La Juve ingaggiò un Camoranesi di quei tempi, tale Raimundo “Mumo” Orsi di passaporto argentino ma di origini italiane.
E Mumo divenne così il giocatore più pagato di quella Juventus: la folle somma di ottomila lire, più una Fiat 509, più un violino. (Permettetemi un passo indietro: in quegli anni i calciatori suonavano anche il violino, oggidì uno dei calciatori “simbolo” del nostro campionato, interrogato in merito, risponderebbe: “Che ssò ssonà? Er campanello quando arivo a casa così mi moje me apre la porta!”. La qual cosa avrà pure qualche significato.)
Tanti anni e tante unità astrali dopo, arrivammo al giorno in cui qualcuno associò al calciomercato, per la prima volta, l’aggettivo “scandaloso”.
Erano gli anni ’80, i meravigliosi anni ’80, dove l’Italia era divisa tra Duran Duran e Spandau Ballet, dove i ragazzini sognavano le virtù mammarie di Samantha Fox e le ragazzine il petto glabro di George Michael senza sapere che le loro speranze sarebbero state comunque vane, e dove il campionato italiano cominciò a diventare il porto di destinazione del Gotha del calcio mondiale.
Maradona, Falcao, Zico, Socrates, Junior, Krol, Juary, Muller, Rummenigge... Oramai l’album Panini dei Mondiali e quello della Serie A si assomigliavano tantissimo, e presidenti-mecenati costruirono, a suon di miliardi di lire, il cosiddetto “Campionato più bello del mondo”.
Per dovere di cronaca ancor prima che di tifo, mi è d’obbligo ricordare che, in questi giorni di sfarzo e vacche grasse, uno di questi presidenti comprò un giocatore dato per finito, dopo un grave infortunio, per un piatto di lenticchie o poco più.
Questo giocatore si chiamava Michel Platini ed avrebbe raccolto tanti palloni d’oro e premi vari da usarli pure come fermaporta in casa propria.
Complice l’inflazione, complice l’avvento del calcio sempre meno sport e sempre più business, e complice il virus della competitività, da sempre radicato nell’essere umano, in pochi anni le somme “scandalose” spese per acquistare Zico e Maradona divennero prima la norma, e poi lo stretto indispensabile per acquistare giocatori di medio-bassa caratura pescati ai quattro angoli del mondo.
Il calcio “che conta” era ormai ristretto a pochi nomi, ed il 90% di questi nomi componeva la parte alta della classifica della Serie A italiana. Milan, Roma, Juventus... solo casi isolati quali Real Madrid, Manchester United e Barcelona interrompevano questa sorta di italica dittatura in Europa, e, come da sempre l’eccezione non fa che confermare la regola, molti dei giocatori che vestivano la “camiseta” delle “merengues” provenivano dalla Serie A o ci sarebbero finiti presto.
Anche qui per dovere di cronaca (ma qui anche per dovere di tifo...) mi fermo a ricordare un altro caso singolare. Mentre le squadre sopra citate spendevano somme degne del PIL di un paese centrafricano conseguendo risultati più o meno proporzionali agli investimenti, un’altra squadra conduceva campagne acquisti investendo somme al cui confronto le spese per gli armamenti della gestione Bush sembrerebbero la paghetta di mia figlia Rebecca.
E i risultati non sono mai arrivati.
Già, ma è vero, c’era il Babau cattivo che li faceva arrivare terzi, settimi, decimi.
Se no avrebbero vinto, ecchecavolo.
E oggi? Beh, da qualche anno qualcosa senza dubbio è cambiato.
A memoria non ricordo di aver mai visto tanti calciatori italiani fare fortuna all’estero. E questo è un primo segno.
Poi, secondo segno, i grossissimi nomi del momento non vengono più in Italia, se non nelle fantasie deliranti dei giornali sportivi che giorno dopo giorno ci raccontano di contatti tra Messi e gli emissari del Toro e di Lampard che avrebbe detto “io fin da bambino ho sempre tifato Chievo”.
E infine il terzo segno, quello sotto gli occhi di tutti in questi giorni.
Kakà è partito, e farà una coppia fenomenale con Cristiano Ronaldo (che poi uno è l’emblema della castità, l’altro organizza i festini che manco il Papi nazionale... mah...). Pato e Pirlo pare stiano già facendo le valigie.
All’aereoporto di Malpensa, al gate successivo, potrebbero presto trovarsi anche quel tale col nasone che fin da bambino tifava la squadra di Milano e il suo compare che vuole un aumento di stipendio per gli assist che gli fa.
La musica è finita, gli amici se ne vanno...
Purtroppo due grosse tegole sono cadute in questi anni sulla testa del Calcio Italiota.
La prima –anche se in termini cronologici è la seconda- è la “Crisi”.
Che onestamente non ho ancora capito se ci sia o no.
Infatti il mio Presidente del Consiglio, che incidentalmente è anche proprietario di una squadra di calcio, mi dice che la Crisi non esiste ed è solo un’invenzione dei “comunisti”.
Ma poi il proprietario del Milan, che casualmente riveste anche un importante ruolo politico, giustifica la vendita di Kakà con la crisi che obbliga tutti a fare sacrifici.
Io voltairianamente ho sempre rispettato le opinioni di tutti, ma sarebbe il caso che questi due signori si mettessero un attimino d’accordo...
In ogni caso salta agli occhi di tutti come il momento economico non sia dei migliori, e i “danè” latitino, almeno dalle nostre parti.
E così anche il grande Circo Barnum del calcio italiano si trova a fare i conti con l’Austerity... già, ma non abbiamo sempre detto che l’italiano medio avrebbe mangiato pane e cipolla, ma non avrebbe mai rinunciato alla Pay Tv per seguirsi le partite della sua squadra del cuore?
Vero.
O meglio, ERA vero.
Perché qui veniamo alla seconda (ma prima in ordine di tempo) tegola: Calciopoli, o Farsopoli che dir si voglia.
Proviamo infatti a svestirci dei nostri consueti panni di tifosi rancorosi (la qual cosa può essere anche molto gradevole, se parliamo delle amiche del Forum, un pò meno se si vanno a svelare le natiche ipertricotriche del sottoscritto o degli altri amici...) e a calarci in quelli del celebre “Uomo della strada”, soggetto/oggetto di tutte le statistiche e sondaggi.
Se siamo in quella percentuale che prende per buone le versioni “ufficiali” della storia, il calcio era manovrato da Shub-Niggurath incarnato da un ferroviere e la gente si sobbarcava levatacce mattutine, trasferte chilometriche e botte dagli ultrà avversari per assistere ad uno spettacolo ancora più falso e suddito di un copione che il Wrestling.
Se invece apparteniamo alla schiera dei “Tifosi di Serie C”, un brutto giorno fu messa in piedi una truffa colossale per trasformare il calcio in qualcosa di molto simile alla descrizione di cui sopra, ma spacciandocelo per un paradiso.
Guardiamoci in faccia, signori. Qualsiasi delle due sia la versione a cui vogliamo credere (anche se qui nel Forum lo sappiamo) questo non è stato un bello spot per il calcio.
E’ stato qualcosa di molto simile all’avvento dell’influenza aviaria per il Ristorante Cinese sotto casa mia. Aveva perso tanti clienti che la titolare, certe sere, mi offriva un gotto quando mi vedeva passare pur di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno dopo una serata a “Seru avventori”.
E così i due fatti si avvolgono uno sull’altro come l’Ourobouros, il mitologico serpente che si morde la coda a simboleggiare l’eterno ripetersi dei cicli dell’Universo, creando una spirale verso il baratro: la gente schifata abbandona il calcio, ci sono meno soldi, i campioni se ne vanno, la gente non vuole seguire uno spettacolo di caratura minore, si disinteressa al calcio, e così via ad libitum.
O meglio, così via fino alla catastrofe.
Mentre, come l’orchestra del Titanic che suonava per tranquillizzare i passeggeri mentre la nave stava colando a picco, i nani e le ballerine del tubo catodico e della carta stampata ci raccontano di quanto siano forti le nostre squadre, di quanto sia bello il nostro Campionato, e di come la nostra Nazionale “spezzerà le reni al nemico” nella Confederation Cup e nei prossimi Mondiali.
Non a caso, proprio qualche giorno fa abbiamo vinto 4 a 3 un match combattutissimo contro... la Spagna Campione d’Europa? Il Brasile quadri-penta-esa-sticazzi-campeon del Mondo?
No, contro gli All Blacks della Nuova Zelanda, nazionale di un paese che ha dato i natali agli Dei del rugby ed ai Dominatori della vela, ma dove il calcio ha la stessa importanza del Curling qui da noi.
Già, ma non andatelo a raccontare ad Abete, sennò si incavola, pesta i piedi per terra e strepita che “il calcio italiano non è in decadenza”.
Sì, neppure io sono in decadenza, Abete. E il fatto che io ora veda la Madonna dopo due volte che faccio su e giù sulla fascia è dovuto al fatto che hanno allungato i campi, non al particolare che stia per compiere quarant’anni, vero?
Ma per favore, non prendiamoci in giro...
Gianluigi Buffon, portiere della Juve e della Nazionale, spesso si è reso protagonista di affermazioni che ci hanno fatto discutere, che ci hanno a volte anche amareggiato.
Ma l’ultima “uscita” in un’intervista è stata degna di quelle fatte a pugni uniti nelle sue più belle partite: ''Non so se le altre si stanno indebolendo, va a finire che sarà una lotta tra chi è meno scarso".
Perfetto intervento e palla spazzata via dall’area, Gigi.
Purtroppo appena metteremo il naso fuori da Chiasso o da Ventimiglia, tu e i tuoi colleghi sarà meglio che vi procuriate il regolamentare colapasta per proteggere la testa, come facevano una volta i portieri ciprioti o islandesi quando venivano al Comunale o a San Siro...
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