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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di M. VIGHI del 17/06/2009 07:51:05
Attenti al lupo!

 

Intercettazioni telefoniche e riforma del sistema giuridico sono tra i temi più dibattuti nella recente attualità, e materia di riflessione e scontri tra i diversi organi di informazione.
Quando però il quotidiano Repubblica pubblica un editoriale dal titolo “Tangenti, furbetti e Calciopoli le verità che non avremmo saputo”, e incuriositi dalla citazione di calciopoli leggiamo il pezzo nella sua interezza, non può che salirci l’ennesimo moto di disgusto di fronte al giustizialismo pressappochista, quando non indotto e preterintenzionale, di tanta stampa italiana. Vi è scritto infatti, testualmente, che “ Le partite truccate di Calciopoli? Avrebbero continuato a essere giocate”.
Peccato che le partite in questione sono state giocate sì, ma che non fossero truccate è accertato e dichiarato a chiare lettere persino nella sentenza farsesca che ha condannato la Juventus alla gogna. E parliamo di (in)giustizia sportiva.
Perché se invece ci spostassimo sul fronte della giustizia ordinaria, troveremmo un procedimento ancora in corso (Napoli), e una serie non indifferente di precedenti, dalla Gea alla recente sentenza del giudice Cosimo Rochira per il procedimento civile a Lecce, anche in questo caso tutti volti nella stessa direzione: che cioè nessuna partita è stata truccata. Il che ormai è acclarato anche per chi il calcio non lo segue.
Innescare un clima teso ad alimentare un vento che sospinga le proprie tesi giornalistiche è artificio d’uopo tra gli addetti ai lavori, comprensibile ed efficace. Ma l’efficacia dello stesso si basa sul presupposto che la credibilità della fonte da cui viene messo in moto sia indiscutibile. Perché nel momento in cui si venissero a formare seri dubbi sulla correttezza delle informazioni fornite, è chiaro che l’intento educativo e sensibilizzante dell’organo mediatico in questione ne verrebbe in larga misura se non completamente compromesso, e così anche il solo aspetto informativo.

Il giorno 8 giugno dell’anno 1993, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI, sindacato unitario dei giornalisti italiani) e l’Ordine nazionale dei Giornalisti firmavano a Roma la Carta dei doveri del giornalista , in cui viene richiamato l’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963, dove si dice, tra le altre cose, che “giornalisti……è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori…..”.
Si proclama infine che “il rapporto di fiducia tra gli organi d’informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista. Per promuovere e rendere più saldo tale rapporto i giornalisti italiani sottoscrivono la seguente Carta dei doveri.”
Ma quale rapporto di fiducia possiamo avere noi, di fronte a errori grossolani come quello sopra evidenziato nell’articolo riportato di Repubblica?
Ed è solo l’ultimo esempio di una lunga serie di imprecisioni. Prima, durante e successivamente il verdetto del giudice sportivo.
Per esempio, passato quasi un anno (22 aprile 2007) dall’esito dell’inquisizione di Farsopoli, Marco Mensurati, sul quotidiano La Stampa, scriveva ancora che “nella sola stagione 2004-2005, nel periodo compreso tra il 29 settembre e il 16 maggio (tra la sesta di andata e la diciassettesima di
ritorno), la cupola è riuscita a manomettere il numero, fino ad oggi inimmaginabile, di 107 partite”.
Dicevamo che per i giornalisti vi è l’obbligo di rettifica in caso di inesattezze.
Repubblica smentirà le partite truccate che non erano truccate?
Qualcuno può verificare se Mensurati ha smentito che anche una sola partita sia stata manomessa?
Quale fiducia possiamo riporre nella stampa?
Quale fiducia quando L’Espresso e il quotidiano sportivo poco pulito, rosa, dossieravano e pubblicavano i testi delle telefonate poi utilizzate nel processo di calciopoli, quando ancora esse erano coperte dal segreto istruttorio?

In materia di privacy, articolo 6 – Essenzialità dell’informazione - il codice deontologico dei giornalisti recita che 1) la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti; 2) la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica.
Penso per esempio al famoso passaggio in aereo offerto da Alessandro Moggi ad Ilaria D’Amico. Era così indispensabile rendere pubblico il particolare, ai fini del processo Gea? Che razza di rilievo avrebbe avuto sul ruolo di Moggi jr e sulla sua vita pubblica?
Così, oltre all’insorgenza del dubbio che la stampa veicoli menzogne in mezzo alle verità, l’accento rischia di porsi anche sul piano etico e morale.

Gli esempi sopra riportati di Repubblica e La Stampa hanno spinto prima, sorretto durante, e giustificato poi, l’indegno teatro dell’assurdo di calciopoli.
Quale fiducia possiamo avere negli organi di stampa se questi diventano veri e propri strumenti di orientamento del famigerato, ahinoi, sentimento popolare?
Il 4 maggio 2006 Repubblica titolava in prima pagina: “Arbirtri, così Moggi dava gli ordini”. Suggerendo, evidentemente, che il mostro di Monticiano tirasse le fila di tutto il teatrino del calcio italiano. Peccato che ad oggi risulti, tra le telefonate analizzate, che nessuna di esse sia stata indirizzata direttamente tra l’ex dg della Juventus e un solo arbitro in quel momento in attività.
E quel modo di fare giornalismo, è inutile nasconderlo, crea indefinitamente un lessico comune di precisa qualificazione.
Grazie a Travaglio, Moggi era già Lucky Luciano. Con il quotidiano poco pulito, rosa, l’intero scandalo del pallone diventa “Moggiopoli”: così non ci sono più dubbi su chi possa essere il mammasantissima ad aver orchestrato tutti i mali possibili e immaginabili.
E le espressioni idiomatiche che i media coniano finiscono col connotare indelebilmente personaggi e situazioni. “Furbetti del quartierino” era stata per esempio un’espressione per la prima volta utilizzata da Stefano Ricucci. Ma alla fine la stampa intera ha rivoltato il tutto contro lo stesso personaggio, ed oggi cercando su wikipedia apprendiamo che “l'espressione sta a significare un gruppo di persone che, in maniera spavalda e arrogante ma ingenua, cerca di ottenere qualcosa, comportandosi in modo incurante nei confronti della normativa legale. Per estensione, con tale espressione il linguaggio giornalistico è venuto qualificando la consuetudine, considerata spesso tipica anche della classe politica, di comportarsi in modo doppio e poco trasparente, dissimulando così le proprie vere finalità, spesso con l'intenzione di conseguire un vantaggio personale o di parte..…L'espressione è entrata nel lessico comune con riferimento opposto: i furbetti del quartierino sono diventanti Stefano Ricucci, il "Gianpy" Gianpiero Fiorani e altri (Giovanni Consorte, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto) che sono stati colpiti da varie inchieste giudiziarie per i metodi presuntamente poco leciti…..
E poteva mancare l’allusione a Moggi come furbetto del quartierino? Ma naturalmente no, leggasi Ruggero Palombo (sempre quotidiano poco pulito, rosa) in data 22 aprile 2006, dal titolo che parla da solo: “Ricucci del pallone attenti all’estate”.

E così, al termine di una breve riflessione, ci ritroviamo a dover riconoscere con preoccupazione che i nostri media spacciano spesso e volentieri menzogne per verità, cavalcano i sentimenti popolari a prescindere dalla verità di fondo, e sanno calpestare il codice deontologico e la dignità della persone non appena fiutano aria di maggiori tirature…
Non sfugga, nella definizione sopra riportata di wikipedia, una sottigliezza di non poco conto: l’etichetta di “furbetti del quartierino”, che oggi il lettore percepisce con una connotazione negativa ben precisa, è diventata espressione idiomatica per consuetudine dei media nel riportare la cronaca di inchieste giudiziarie per metodi “presuntamente” poco leciti…
Presuntamente…presunzione in vece della verità?
Come possono poi arrogarsi la responsabilità di condurre campagne di civiltà per nostro conto?

In un villaggio viveva un pastore che di notte doveva fare la guardia alle pecore. Si divertiva a fare uno scherzo: mentre le altre persone erano a dormire egli cominciava a gridare: “Al lupo, al lupo”! Così tutti si svegliavano e accorrevano per aiutarlo. Ma dopo il pastore burlone rivelava che era stato tutto uno scherzo. Questo scherzo continuò per parecchi giorni, finché una notte il lupo arrivò veramente. Il pastore cominciò a gridare: “Al lupo, al lupo”!. Ma nessuno venne ad aiutarlo perché tutti pensarono che fosse il solito scherzo. Così il lupo si mangiò tutte le pecore.
Non vorremmo ritrovarci un giorno a scoprire di essere talmente abituati al giustizialismo pressappochista dei media, da non riuscire più a distinguere il lupo dalle pecore.
Con l’aggiunta dell’aggravante: il pastore, almeno, aveva poi l’onestà di rivelare che era stato uno scherzo.


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