Era un pomeriggio grigio e nebbioso, eppure il pubblico del Delle Alpi riuscì ugualmente ad ammirare l’arcobaleno.
Mancavano una manciata di minuti alla fine, il punteggio era fermo sul 2-2 e Orlando lanciò un pallone dalla metà campo bianconera. La sfera stava andando a ricadere al limite dell’area della Fiorentina, quando Pinturicchio la colpì di esterno, al volo, disegnando una traiettoria incredibile che andò ad infilarsi all’incrocio dei pali lontano, gonfiando la rete alle spalle di Toldo. Una rete straordinaria! Con quel colpo di pennello Alex disegnò una parabola impossibile, magica e meravigliosa, tanto da sembrare un arcobaleno colorato agli occhi spalancati degli spettatori, che esplosero in un urlo dirompente e continuo.
La Juve vinse 3 a 2, iniziando, con quel match, un ciclo di vittorie lungo dodici anni, concluso solo grazie ad un certo signor Rossi ed ai suoi alabardieri, che decisero di affossare la più grande squadra degli ultimi anni.
Ma torniamo a quella straordinaria gara. Credo che ogni tifoso conservi nella propria mente una partita che ha lasciato in lui qualcosa di particolare, d’indimenticabile. Ecco, la partita che io porterò per sempre nel mio cuore è proprio Juve Fiorentina del campionato 94-95, giocata in un pomeriggio umido di Dicembre.
Un match molto sentito, sia dal pubblico che dai giocatori, teso sin dai primi minuti. Alla fine del primo tempo eravamo sotto 2-0 e Ranieri, proprio lui, guardava ansioso l’orologio, sperando che il match finisse in anticipo.
Invece, per sua sfortuna, dovette subire la carica di dieci gladiatori che rientrarono dagli spogliatoi con uno spirito veramente indomabile e che avrebbe accompagnato la squadra per tutto il ciclo di vittorie, lungo dodici anni.
Il condottiero dei guerrieri si rivelò Gian Luca Vialli, con due goal superbi, il primo con un prepotente colpo di testa, il secondo con un tocco di rapina, velocissimo a girare in rete una palla vagante in area.
Vialli aveva faticato ad inserirsi in bianconero, lontano dalla sua Genova, dal suo mare, ma, grazie a Lippi, il condottiero era risorto, e la Juve, che aveva creduto in lui riconfermandolo, vinse la sua scommessa.
Aveva ritrovato un leader, dove per leader non si individuava necessariamente l’uomo che segnava tanti goal, ma il giocatore che si faceva sentire quando serviva, scegliendo la cosa più utile al gruppo. Lui rispettava e veniva rispettato. La fiducia di Lippi in lui aveva ricomposto quella incrinatura della personalità e dello spirito che derivava dalla sua nostalgia per la Lanterna e per il salmastro ligure.
Quella partita di Dicembre lo consacrò definitivamente il capo, il “re leone”.
Come dimenticare, immediatamente dopo il 2 a 2, la sua corsa con il pallone in mano verso il centrocampo, mentre incitava i compagni a seguirlo, sicuro che sarebbe arrivata anche la terza rete?
E come dimenticare l’altro leone che cercava di placcarlo per abbracciarlo e baciarlo con gioia suprema? Io lo ricordo bene: era Ciro Ferrara.
Era arrivato pochi mesi prima, dalla città dei mille colori, lo scugnizzo dei quartieri alti di Napoli, portandosi dentro il sole di Posillipo e l’allegria che nessuno ti può regalare. Dopo dodici anni di Napoli, aveva scelto la Juve per crescere ancora e per tornare a vincere nel club più prestigioso. Il Direttore lo strappò alla Roma, che non gradì lo sgarbo, non riuscendo a comprendere che Ciro stesso aveva scelto i colori bianconeri, quei colori che lo avrebbero portato, in seguito, sul tetto del mondo.
Ciro divenne subito il guascone del gruppo, colui che riusciva a sdrammatizzare, incitando e incoraggiando gli altri giocatori contemporaneamente. Conosceva perfettamente i compagni con i suoi pregi e difetti: ecco perché tutti lo adoravano.
Ed ecco perché è diventato il nuovo allenatore della Juventus.
La società ha scommesso su lui, sulla sua grande conoscenza del calcio e, soprattutto, dei giocatori, che in realtà sono uomini. Ciro conosce bene gli uomini, proprio come il suo grande maestro, Marcello Lippi, altro uomo di mare che sapeva dosare i giocatori salvaguardandoli da eccessive pressioni e responsabilità, ma nello stesso tempo facendoli sentire indispensabili.
Voglio ricordare un’intervista di Ciro dell’epoca, emblematica, a riguardo di Lippi: “E’ il tecnico giusto per una grande squadra. Il suo pregio principale è la chiarezza, la capacità di creare un gruppo e, successivamente, avere rapporti cordiali con tutti. Ogni sua decisione viene accompagnata da una spiegazione logica e nello stesso tempo, naturale. Ti fa sentire importante anche se, a volte, devi finire in panchina”.
Ecco Ciro, sono sicuro che tu sarai lo stesso per i tuoi nuovi giocatori, molti di essi tuoi ex compagni ed amici.
La nuova Juve è in mano in te e, ogni volta che siederai in panchina, ricorda sempre quel pomeriggio umido e nebbioso dicembrino, quando cercavi di placcare Vialli e ad un tratto, come d’incanto, rimanesti abbagliato da un arcobaleno meraviglioso che tagliava il cielo: lo aveva disegnato Alex.
Buona fortuna, Ciro.
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