Un azzurro un pò slavato quello delle maglie della nazionale ed un gioco tutt’altro che entusiasmante, è l’istantanea dopo l’esperienza degli azzurri in Confederetion Cup.
Una divisa scialba, un colore che ben si avvicina ad un calcio sfinito, quello italiano, che si presenta in una competizione ufficiale da Campione del Mondo e rimedia una sonora sconfitta.
Fin troppo facile criticare ora la non eccelsa condizione fisica o l’approssimazione con cui gli undici titolari sono scesi in campo. A demolire ci stanno già pensando le miriadi di trasmissioni sportive e i media che non aspettano altro per riempire palinsesti e pagine di giornali privi, come sempre, di un qualsiasi contenuto.
E’ proprio vero, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Interviene Abete e tanto per (non) cambiare trova il capro espiatorio su cui far ricadere colpe e responsabilità. Questa volta punta il dito contro i media, colpevoli – a suo dire – di predicare un rinnovamento con l’inserimento di forze fresche e magari il lancio coraggioso di qualche giovane e si dichiara preoccupato del momento delicato che sta vivendo il calcio italiano.
Sì, Dr. Abete, ma una cosa non mi è chiara: quando si prenderà anche lei le sue responsabilità?
Poi c’è Lippi, la sua voglia di riproporsi e di riproporre il gruppo mondiale, un po’ per mancanza di alternative, un pò per riconoscenza. Anche lui come Abete, da buon profeta, predica pazienza ricordando che i giovani devono essere inseriti un poco per volta.
Un po' sbiadito anche Lippi, almeno quello juventino che ricordo io.
A questo punto servirebbe un briciolo di coraggio e non solo quando si lavora nell’ombra, ma anche quando è necessario mettere la faccia davanti ad una telecamera e spiegare il motivo di determinate scelte. Il calcio vive anche di questo ed un lupo di mare come il ct dovrebbe ben saperlo.
E il tifo?
Pur riconoscendo che una competizione come la Confederation Cup non suscita il fascino di un Mondiale, nonostante abbia comunque avuto un ottimo riscontro di pubblico, sembra affievolita nei tifosi quella voglia e quel pathos protagonisti da sempre delle avventure azzurre.
Più per abitudine che per reale interesse, ci ritroviamo a vedere gli undici che corrono dietro il pallone e quella maglia che sembra non coinvolgere e non suscitare più emozioni se non un flebile interesse utile solo a scambiare qualche chiacchiera da bar.
Un ulteriore fallimento del sistema che genera rimpianti su rimpianti e propone soluzioni sempre e solo quando il danno orami si è incancrenito.
Ma guai a parlare di fallimento, questa è la nuova era del calcio che perde un po’ la visione della realtà (e anche la faccia), ma fa tanto comodo per continuare e mantenere un teatrino che genera tanti soldi.
Il calcio italiano, fino a qualche anno fa fiore all’occhiello del Bel Paese, oggi deve accontentarsi di essere rappresentato da quei campioni un po’ sbiaditi, quelli che magari tornano in Italia a fine carriera con la testa al futuro contratto da dirigente, quelli che prima consideravano gratificante una chiamata in azzurro e che oggi affrontano con sufficienza la convocazione.
Un po' di tempo fa, qualcuno insinuava il dubbio che proprio Lippi favorisse l’ingresso in Nazionale di campioni legati ad un DG che di calcio ne capiva (eccome se ne capiva) per valorizzarli ed accrescerne il valore.
Dubbi che il campo hanno spazzato via, anche se siamo sempre lì, in quel passato non molto lontano, con quei campioni che hanno sì accresciuto il proprio valore conquistando un Mondiale, ma che hanno contemporaneamente contribuito a diffondere un’immagine vincente dell’Italia.
Oggi ci dicono che mancano i campioni. Va bene, ma manca anche qualcuno che li sappia scovare.
Che sia questo il vero problema? |