Arriva da “Avvenire” l’intervista nella quale a ripresa in corso del processo di Napoli l’ex designatore Bergamo ci racconta la sua calciopoli (
Bergamo: «La mia Calciopoli Nessuna truffa ma tanti errori»).
Inevitabile a sette anni dallo scandalo che cambiò gli equilibri del mondo del calcio tirare le somme e tristemente passare a leccarsi anche pubblicamente le ferite. Come per la maggior parte dei protagonisti, o per meglio dire delle vittime di calciopoli, anche per l'ex designatore la prima e più amara conseguenza fu la rivoluzione avvenuta nella propria vita non solo per quello che riguardava i rapporti con il calcio. La gogna mediatica alla quale in tanti tra designatori, arbitri, dirigenti, giornalisti, ecc. furono sottoposti ha provocato una tale perdita della loro credibilità da ripercuotersi addirittura sulla loro attività di lavoro. Così è legittimo rivendicare che gli fu dato addirittura il benservito dall’agenzia di assicurazioni per la quale svolgeva compiti di grande responsabilità. Una conta micidiale, nella quale Bergamo non esita a tirare dentro Paparesta, Bertini, Dondarini e Pieri e ci sembra di dover essere solidali alle luce di quanto emerso dai processi. Tra questi il solo Bertini risulta oggi tra i condannati a Napoli.
Detto questo, è il resto dell’intervista che appare inquietante. Per certi versi, per come è stato imbastito, il processo di Napoli ha sempre destato delle perplessità riguardo a una sorta di
mancata coesione tra gli accusati più illustri, le posizioni delle quali non sono mai sembrate aggregarsi e procedere all’unisono. Per dirla chiara e concisa, ci si sarebbe aspettati un coro di indignazione unanime contro le accuse, una comune volontà di ribadire che i fatti non sussistono. Invece,
approfittando del gioco al massacro che i media hanno condotto in un pervicace e ossessivo spregio della tutela dei diritti della persona, abbiamo assistito a un progressivo allinearsi delle posizioni verso la scelta, quella sì unanime, di un
capro espiatorio. In modo tale che chi debba giudicare si ritrovi servito su un piatto d’argento il colpevole. A partire dal modo in cui già in ambiente bianconero si è deciso di defilarsi dall’idea di squadra. Se Giraudo ha scelto addirittura un altro processo, quello detto breve, per essere giudicato ‘a parte’, ancorché la strategia non abbia prodotto i frutti sperati, la stessa Juventus, che già nel 2006 per bocca di John Elkann si disse vicina alla squadra e all’allenatore (ma non ai dirigenti), sia con Zaccone che con Vitiello ha preso le distanze dall’operato di Moggi.
A nemmeno una settimana dalla ripresa del processo d’appello Bergamo ci spiega come stavano le cose, frappone spartiacque, segnala ancora una volta che qualcuno doveva e deve ancora per forza essere più uguale di qualcun altro.
A domanda risponde. Come ha sempre sostenuto,
Facchetti lo contattava più spesso di quanto non facesse Moggi. Gli telefonava, si lamentava, spendeva tanto e non vinceva niente. Le designazioni arbitrali innervosivano persino i calciatori nerazzurri. Costretti a vivere al soldo, ci verrebbe da aggiungere, di paranoici affetti da manie di persecuzione.
Su calciopoli siamo ancora costretti a fare le puntualizzazioni più elementari. Vanni Zagnoli dice a Bergamo nell’intervista che “in teoria nessuna società poteva avere rapporti con i designatori” e l’ex designatore gli risponde candidamente: “Già, solo l’Udinese in questi sei anni non l’ho mai sentita. Persino il Chievo si lamentava”. Peccato che il CGS prevedesse fino al 2006 che a essere vietati non fossero i rapporti con i designatori, ma quelli con gli arbitri. Il punto è ancora e sempre che
calciopoli si basa su pregiudizi duri a morire, il principale dei quali si chiama ancora “Moggismo”.
Afferma Bergamo: “Peraltro da presidente dell’Inter (Facchetti) non esercitava altre pressioni, mentre Moggi intratteneva rapporti con il mondo del calcio tramite l’incalcolabile potenza della Gea: all’interno c’erano suo figlio, il figlio del presidente federale Carraro, del ct Lippi, di un politico come De Mita e del banchiere Geronzi, in una struttura legalmente inattaccabile”.
Dichiarazioni che rimettono in gioco inutilmente vecchie teorie confutate dai due gradi di giudizio del processo GEA, che ha visto cadere l’accusa di associazione a delinquere già nel primo. Ma che tornano utili a tutti coloro ai quali fa comodo pensare e giudicare persino oltre le sentenze. Quanto all’affermazione che Moggi godesse di altre amicizie rispetto a Facchetti, tra i quali ministri, fa sorridere dover ricordare non solo ad Auricchio a chi appartiene l’altra squadra di Milano, che ha appena celebrato una sorta di ridicolo “Milan day” proprio dalle emittenti che il buon colonnello non riusciva a ricondurre all’ex presidenza del consiglio.
Bergamo non pilotava gli arbitri: “No, ma il palazzo non voleva che i direttori di gara avessero troppe critiche, così assieme a Pairetto, l’altro designatore, facevo da parafulmine”. Di recente Rai3 a 'Un giorno in pretura' ha trasmesso la telefonata emblematica di Carraro a me: era preoccupato per l’andamento di un Lazio-Brescia». 'Un giorno in pretura' avrebbe dovuto trasmettere anche l’intercettazione Bergamo/Rodomonti del 28/11/2004, nella quale l’ex designatore diceva all’arbitro (
Calciopoli - Intercettazione Bergamo - Rodomonti: "Se hai un dubbio pensa a chi è dietro"
): “Le fatiche che hai durato non le devi mettere in discussione, fa la tua partita, non ce n’è per nessuno, e, se ti dico proprio la mia, in questo momento, se hai un dubbio, pensa più a chi è dietro piuttosto che a chi è davanti, dammi retta!”. E glielo diceva dopo che due giorni prima Carraro in un’altra intercettazione aveva detto a lui prima di Inter Juventus: “la partita onesta, per carità, ma che non faccia errori a favore della Juventus, per carità eh…”. (
Carraro parlava così con Bergamo: "Non favorite la Juve").
Affermazioni che a chi non fosse stato depistato da anni di indagini e campagne mediatiche antimoggiane, suggerirebbero che davvero i dirigenti interisti, che nel frattempo si erano presi la briga di spiare i loro avversari (insieme con tutto il mondo non solo politico e editoriale non solo italiano) coi potenti mezzi di un loro azionista che era presidente della Telecom, fossero loro i diversi e facessero un tutt’uno con la FIGC che “piaccia o non piaccia” ha tutto il sapore di un’associazione a far cosa devono ancora spiegarcelo.
Anche perché giustamente Bergamo ribadisce che
i sorteggi non potevano essere truccati. E se i sorteggi non potevano essere truccati, i designatori non facevano parte della cupola, i 4 presunti arbitri affiliati superstiti secondo le sentenze taroccavano partite estranee agli interessi bianconeri, dove stanno le premesse perché Moggi e Giraudo condizionassero il sistema?
Bergamo, che nel frattempo è passato dal calcio alla pittura, afferma non di non aver mai preso, ma nemmeno di aver mai dovuto rifiutare soldi. Cioè di non aver mai subito un tentativo di corruzione, affermando: “No, il calcio non è così brutto”.
E’ vero. Oggi, come nel 2006, il calcio per gli Juventini è bellissimo, perché la Vecchia Signora ha ricominciato a vincere. Brutto ce lo hanno fatto e ce lo fanno diventare quelli come Bergamo, Carraro, Abete, Palazzi, Facchetti, Moratti, Baldini, Lotito, Preziosi, De Laurentiis…
Commenta l'articolo sul nostro forum!