Giulemanidallajuve
 
 
 
 
 
 
 
  Spot TV
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di M. VIGHI del 12/08/2009 13:53:05
Il simbolo di Villar Perosa

 

Dedicato a tutte quelle persone a cui il cuore batte forte ogni volta che intravede una maglia bianconera. Che indugia sul ricordo delle emozioni vissute a palpitare di gioia e dolori allo stadio o davanti alla televisione per Madama. O anche solo alla radio, giacché anticipi e posticipi sono retaggi dei tempi più recenti.
L’appuntamento annuale di Villar Perosa, con l’amichevole tra Juventus A e Juventus B, evoca una fiumana di sensazioni nostalgiche, magia, rispetto, di sogni vissuti, consumati, e recentemente anche infranti.
Villar Perosa è il simbolo della tradizione. Perché la Juventus non è mai stata come tutte le altre squadre. E’ sempre stata qualcosa di più. La “Signora Omicidi”, la più fredda, la più vincente. E la più aristocratica. Quella i cui dirigenti, giocatori, allenatori, e persino tifosi, manifestavano superiorità anche attraverso il loro contegno, quello che da alcuni veniva avvertito come atteggiamento antipatico.
Le caratteristiche sopra descritte non sono il frutto del caso, bensì, verosimilmente, nient’altro che il codice genetico della famiglia Agnelli, trasferita come per incanto al suo grande amore calcistico: la Juventus.
Edoardo, Gianni, Umberto. Agnelli che hanno fatto parte della storia d’Italia. E quasi in toto la storia della Fiat e quella della società calcistica di corso Galileo Ferraris.
Il potere e le capacità manageriali espresse nel mondo economico e politico si riflettevano nella loro creatura che ogni domenica scendeva in campo. Qualità eccellenti, che tanto possono fare in qualunque dirigente sportivo. Ma c’era qualcosa di più, qualcosa che dal proprietario si trasmetteva per un processo inspiegabile anche alla maglia e a chi la indossava: la passione e il carisma.
Villar Perosa era il modo di dire al mondo che Juventus e Agnelli erano una cosa sola, inscindibile: una partita giocata per la famiglia, nel ritiro storico degli Agnelli, nel paese in cui Gianni fu persino sindaco nel 1945. Nessuna amichevole di lusso, solo lo scontro tra formazione titolare e squadra primavera. Un messaggio forte e chiaro all’esterno. Ma anche, in fondo, un istante riservato e intimo, in cui i giocatori scendevano in campo solo per Gianni o per Umberto. E loro, l’Avvocato ed il Dottore, erano lì non come uomini politici o d’affari, e solo in parte come proprietari: erano lì come tifosi. Un avvenimento insomma che anno dopo anno cementava il legame, in un simbolico abbraccio tra la famiglia Agnelli e la squadra della Juventus.

Fiumana di sensazioni nostalgiche, si diceva. Perché ogni tifoso della Vecchia Signora, quando pensa a Villar Perosa, solitamente non vede affacciarsi alla mente immagini di campioni attuali. Ma quasi ineluttabilmente si ritrova a tornare indietro negli anni, a quegli occhi sognanti del bambino, che i più fortunati dal vivo, altri solo attraverso le televisioni, osservavano i loro idoli in quel contesto che aveva così tanto di famigliare da poterli sentire più vicini. Per me, nato negli anni ’70, quei fotogrammi immortalano l’idolo di mio padre, divenuto per forza di cose anche il mio, Roberto Bettega. Poi Platini, a braccetto con l’Avvocato. Infine Del Piero. Senza dimenticare i volti noti che incorniciavano l’evento: Boniperti prima, Luciano Moggi, Antonio Giraudo e ancora Roberto Bettega, in seguito.
Erano momenti di magia difficili da spiegare. Il business era meno feroce di oggi, e alla passione bianconera e l’emozione di sentirsi per un pomeriggio parte di una grande famiglia, si univa il divertimento di “scovare” i piccoli campioncini nella formazione primavera che faceva da sparring-partner all’evento. Oggi non è più così: tra amichevoli estive, infortuni a ripetizioni e gare delle nazionali, la qualità in campo si riduce normalmente a neppure la metà della rosa titolare. I ragazzini si mescolano ai campioni affermati, dando certamente comunque l’opportunità di poterli valutare, ma non parimenti ad un confronto fra una formazione titolare di campioni e una formazione primavera, entrambe quindi già amalgamate in una “squadra”, un concetto che va ben al di là di “formazione”. Tanto per citare la cronaca, la partita di ieri, conclusasi con l’affermazione della Juventus A per 3-1, è stata chiusa con la rete siglata da De Paola, giovane promettente che è stato schierato dal primo minuto in una squadra titolare che, eccezion fatta per i tre attaccanti, altro non era che una “formazione” di chi era disponibile al momento, alcuni dei quali mai scesi in campo insieme in precedenza.
I quotidiani di oggi raccontano di una grande festa ieri a Villar Perosa, e noi vogliamo credere che tale davvero sia stata e commossa sia stata la partecipazione dei tifosi giunti fin lì.
Ci piacerebbe inoltre credere che la medesima passione possa un giorno leggersi nei volti di chi ci rappresenta a livello proprietario e dirigenziale.
Sono cambiati i tempi. Il carisma dell’Avvocato e del Dottore sono sostituiti dall’apparente espressione algida e distaccata di John. La competenza e la passione di Boniperti quando era presidente, uomo di pochissime parole, sostituita dalla loquacità irrefrenabile di Cobolli Gigli.
Il manager con lo sguardo al bilancio oggi è Blanc e non più Giraudo. E tira un’aria di serietà che immalinconisce. La tensione di chi sa che i tifosi di Madama attendono successi, e si stanno stancando di aspettare. Una tensione alla quale i dirigenti attuali non sanno rispondere con l’ironia che dispensavano sorridenti Gianni e Umberto, o con la sicumera ostentatamente spocchiosa e talvolta persino irritante di un Luciano Moggi. Uomini capaci di stemperare la pressione del momento, e al tempo stesso, con la capacità di sdrammatizzare propria solo della consapevolezza del proprio valore, trasmettere nel tifoso la certezza di poter competere a tutti i livelli, a prescindere da quello che sarebbe stato l’esito finale.
Non ci resta che tenerci quello che abbiamo, e continuare a palpitare per quella maglia.
Con la speranza di quel successo che, per noi, equivarrebbe alla terza stella.
Così Marcello Lippi ricordava l’Avvocato durante i festeggiamenti del 27° scudetto, stagione 2002-2003: “Voglio ricordare che gli sarebbe piaciuto festeggiare la terza stella della Juve, chissà chi gliela regalerà, comunque la vedrà di sicuro dal cielo”.

Se la meriterebbe l’Avvocato. Ce lo meriteremmo noi, che amiamo incondizionatamente la Juventus. Se lo meriterebbero tutti coloro che si sono contraddistinti per passione e dedizione alla squadra. Come chi ha versato sudore per la maglia, competenza dietro la scrivania, e un amore talmente travolgente da non riuscire a trattenere le lacrime. Come Roberto Bettega insomma, le cui lacrime di addio nel 2006 trovano spiegazione solo in quel pianto a dirotto davanti alle telecamere durante i festeggiamenti per lo scudetto del famoso (anche se non per tutti) 5 maggio 2002, quando, intervistato, alla domanda “mi spighi queste lacrime, cosa covavi dentro?” rispose candidamente “è semplicemente che cosa è la juve per me”.
Auguriamo a Ciro ed ai suoi uomini la vittoria di quello che, per la FIGC ma non solo, potrebbe essere il 28° scudetto ufficiale della Juventus.
Per chi sa davvero di cosa stava parlando Roberto Bettega in quell’intervista, per chi conosce cosa siano quelle lacrime e il loro reale significato, sarà certamente il trentesimo.
Da dedicare all’Avvocato, che non dimenticheremo mai.
Come non dimenticheremo mai nessuno di coloro che ha contribuito a regalare tante soddisfazioni ai nostri piccoli sogni di tifosi.
Noi non dimenticheremo mai.
Nessuno!

Commenta l'articolo sul nostro forum!
 
  IL NOSTRO SONDAGGIO
 
Dopo la Cassazione su Moggi, cosa dovrebbe fare ora la Juve?
 
  TU CON NOI
   
 
   
 
  AREA ASSOCIATI
   
 
 
 
  DOSSIER
   
 
   
 
  LETTURE CONSIGLIATE
   
 
   
 
   
 
  SEMPRE CON NOI
   
 
   
 
Use of this we site is subject to our