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Il Fatto di G. FIORITO del 03/03/2014 12:16:52
Ron_ A modo mio Juventino anch’io

 

"A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai…”
Se la notizia non venisse da un’intervista realizzata da Tuttosport si potrebbe pensare a una bufala (Link). Ci voleva Rosalino Cellamare, in arte Ron, per assistere a quello che manifesta tutti gli aspetti di un miracolo: il primo caso di pentitismo di stampo nerazzurro. La prima conversione da tifoso interista a tifoso juventino.

Dopo anni passati a sorbirci ogni sorta di prevaricazioni mediatiche da Bonolis e radiofrecciate da uno che pretende di essere un cantautore e di interpertare persino le canzoni di De André, per non dire nulla delle battutine, contenute, è vero, ma ficcanti, di Fiorello e delle comparsate in quel di San Siro del dottor Rossi, che a tal fine ha abdicato dal trono di motociclista più amato dagli italiani, non stento a dire che mi gira la testa.
“Il gigante e la bambina”, la sua prima uscita sanremese ad appena sedici anni, aveva già tutta l’intelligente sapienza musicale e oserei dire “culturale” di questo cantautore (a lui la C maiuscola del musicista e del paroliere di qualità) e la struggente poesia di un artista che era nato grande.

Ricordo che mia madre, della quale non conservo troppi ricordi buoni, me la cantava spesso e di lei posso dire che se una dote aveva, era di sicuro per il gusto musicale. Più tardi mi ritrovai adolescente davanti alla televisione nel pomeriggio ancora in bianco e nero di un’ordinaria “Domenica in” e un ragazzo bello quanto basta per fare presa su di me cantava in un chiodo di pelle “I ragazzi italiani” rubandomi l’anima, quell’anima dove avrei sempre serbato un posto per lui, inseguendo “Una città per cantare”.

Di Ron lessi allora un’altra intervista, nella quale dichiarava la sua predilezione per i Dire Straits e con l’imparzialità, ahimé compromessa, che oramai avete intuito tra le mie righe, credo di poter affermare che la sua musica è di una bellezza autentica perché trascende le mode e i facili entusiasmi, facendosi il prodotto di un artista veramente completo. Ron è stato il principale e più noto collaboratore musicale del mio artista preferito nell’ambito della canzone italiana: Dalla. A lui Lucio, straordinario talento musicale e istrionico, doveva il successo di “Attenti al lupo” e quello condiviso con De Gregori del tour di “Banana Republic”, del quale rimane immortale "Cosa sarà", il nostalgico retro del 45 giri “Ma come fanno i marinai”.

Non bastasse tutto questo, Ron, dopo essersi reso protagonista di una fra le migliori esibizioni all’ultimo Sanremo, con due canzoni entrambe di ottima fattura professionale e diverse per argomento del testo e arrangiamento musicale, non costruite come la maggior parte per escluderne scientificamente una, e aver anticipato uno straripante e osannato Baglioni con classe innata, ha vuotato il sacco, rendendomi un’altra volta felice. Almeno quanto lo sono stata nelle due volte che ho potuto apprezzarne la cifra artistica e interpretativa dal vivo, nel corso dei suoi concerti.

A lui è legato anche un aneddoto autobiografico. Me ne stavo nella chiesa del mio paese a seguire la messa un pomeriggio di una decina di anni or sono, quando la signora che mi sedeva accanto mi domandò se non mi fossi accorta chi fosse quel bel signore in fila vicino a me per la comunione. Effettivamente avevo udito una voce angelica intonare la macabra esecuzione che solo Padre Cherubino è capace di effettuare di “Resta con me”. Ma non mi ero resa conto a chi appartenesse. Così come ancora non potevo capacitarmi che il bel ragazzo infagottato in un loden blu, in ginocchio dinanzi all’effigie miracolosa della Madonna di Valverde, fosse proprio Ron.

A raccontarlo ancora nessuno mi crede. Così come è difficile accettare che si possa cambiare la squadra di calcio del cuore. Ho visto bambini e persino adulti dopo calciopoli abbandonare la Juve e mettersi a tifare l’Inter. Si dicevano nauseati, un po’ come Travaglio. Grazie agli interventi massicci antijuve che a cominciare dalla Gazzetta dello Sport hanno massacrato la società bianconera nella primavera estate del 2006 e dopo, erano disinformati, questo è certo, ma ho sempre pensato che dovessero essere anche dei tifosi “all’acqua di rose”. E persone in genere incapaci di provare vero amore e dedizione profonda verso qualcuno o qualcosa.

Stonerebbe che Ron fosse uno di questi. Leggendo l’intervista si capisce che il suo essere tifoso interista nasceva dall’influenza di uno zio nerazzurro che lo conduceva allo stadio. Nella favola a lieto fine bianconero, come nella sua canzone che raccontava di una violenza consumatasi tra un gigante e una bambina, c’era dunque un orco. Passatemi il paragone blasfemo.

Senza di lui forse Ron sarebbe stato Juventino da subito. Io sono convinta che gli Juventini siamo dei privilegiati, essendo senza dubbio la Juve a sceglierci. O forse no. Forse Ron ha avuto soprattutto il coraggio, con quell’innocenza che solo la dolcezza della sua musica e la sincerità dei suoi testi sanno evocare, di riconoscere alla Juventus i suoi meriti e di sceglierla. Non conosciamo cosa sappia esattamente di calciopoli, possiamo solo intuirlo. Sappiamo che della Juventus ammira lo spirito di squadra e la dedizione al lavoro, che costantemente la riporta nell’Olimpo degli dei del calcio.

A Sanremo, nella serata dedicata alla canzone italiana d’autore, Ron ha cantato “Cara”. Insieme a Lucio aveva composto la celeberrima "Piazza Grande", soltanto ottava nell’edizione festivaliera del 1972.
“A modo mio quel che sono l'ho voluto io”.








 
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