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Attualità di F. DEL RE del 18/03/2014 13:48:52
371 per Messi

 

Un amore folle per chi sa scrivere pagine di leggenda, per chi sa spostare in avanti i limiti umani della prestazione. E' l'amore folle per Lionel "Leo" Messi, figlio di un operaio di acciaieria e di una casalinga; figlio di Rosario, provincia di Santa Fè, città natale di Ernesto "Che" Guevara, di Cesar Luis Menotti, di Marcelo Bielsa, di Angel Di Maria. Lionel Messi, figlio di quell'Argentina terra di emigranti italiani, come il trisavolo Angelo Messi, partito nel 1883 da Recanati per cercar fortuna oltre oceano. Centodiciotto anni dopo il piccolo Lionel, il troppo piccolo Lionel, soprannominato per questo "La Pulce", compirà il viaggio inverso, fermandosi un pò prima rispetto alla terra del Leopardi. Si stabilirà per sempre a Barcellona, capitale della Catalogna, per cercar fortuna, anche lui come Angelo. E' il primo Marzo del 2001 e la fortuna del piccolo Lionel, del troppo piccolo Lionel, si chiama Carles Rexach, allora direttore sportivo del Barcelona Football Club e vecchia gloria blaugrana, che lo strappa al River Plate, facendogli firmare, così narra la leggenda, un contratto su un tovagliolo di carta, non avendo fogli su cui scrivere e non volendo assolutamente perdere un secondo di più nell'attesa che il ragazzino diventi un tesserato del Barça. E così Rexach fa l'affare del secolo, perché prendere Messi all'età di tredici anni non significava soltanto assicurarsi le prestazioni di uno dei tanti ragazzini di talento di quella terra magnifica che è l'Argentina, ma significa soprattutto investire su qualcosa di più grande, che va oltre il calcio e sconfina nella filantropia infantile. Infatti Lionel Messi è piccolo, troppo piccolo, perchè all'età di undici anni gli è stata diagnosticata una forma di ipopituitarismo, una malattia che diminuisce la secrezione dell'ormone della somatotropina. Le cure sono costose, il River Plate, che per primo aveva messo gli occhi sul ragazzino, non se la sente di investire così tanto e così alla cieca. Rexach, sì, se la sente e lo fa firmare, subito, con qualsiasi mezzo disponibile. Un tovagliolo di carta, appunto, e gli consente di portare con sé persino tutta la famiglia, tutti a spese del Barcellona a Barcellona, nella speranza che il troppo piccolo Lionel diventi un pò meno piccolo. Diventerà gigante, enorme, immenso. Il più grande di tutti.

I suoi numeri nelle giovanili del Barça sono persino inutili da elencare, tanto sono mostruosi, tanta è la differenza di classe fra lui e i suoi compagni. Ma non conta nei ragazzi. Per cercar fortuna, per far fortuna, devi giocare là, al Camp Nou. Devi uscire a testa alta dal Mini Estadi ed entrare con umiltà nel tempio del catalanismo; devi giocare con El Capità Carles Puyol, con Ronaldinho Gaucho, alle direttive di mister Frankie Rijkaard. Là, al Camp Nou, si farà la fortuna del non più tanto piccolo Lionel e di tutta la famiglia Messi.

E la fortuna arriva, perché è tutta lì, nei suoi piedi magici, il sinistro, poi, delizia per gli occhi, e nella testa di un ragazzo semplice, ma solido, intelligente. Esordio il 16 ottobre 2004 nel derby contro l'Espanyol,a poco più di diciassette anni d'età; a diciassette anni, dieci mesi e sette giorni segna il suo primo gol nella Liga; accade il primo Maggio del 2005, contro l'Albacete. Il resto è storia conosciuta, fatta di giocate sensazionali e di vittorie storiche, ripetute, ancora e ancora; vittorie che lo vedono sempre protagonista, salvo nei primi anni di carriera, quando due gravi infortuni, uno muscolare ed uno osseo, lo tengono fermo per diversi mesi. E' tutto troppo semplice e troppo noto per essere di nuovo raccontato. E' il cammino che lo porta a segnare 371 gol ufficiali nel Barcellona, marcatore "all times" del club. Gol che nascono prima da una posizione di esterno destro nel tridente d'attacco, poi da "falso nueve" al centro dello stesso tridente. Gol di sinistro, quasi sempre, ma anche di destro e persino di testa, come quando a Roma, finale di Champions' League 2009 contro il Manchester United, infila il gigantesco portiere Van der Sar con un colpo "de cabeza" assurdo, nato da una torsione e da uno sbilanciamento all'indietro innaturali, impossibili.

Già, perché i numeri altro non sono che il risultato delle caratteristiche tecniche, fisiche ed intellettuali di questo autentico genio del football. Si dice che Diego Armando Maradona, leggenda, mito, anche lui argentino di origini italiane, anche lui un piccolo, troppo piccolo diventato immensamente grande, anche lui con un piede sinistro regalatogli dagli dei del pallone, abbia detto che a Messi il pallone rimane attaccato al piede, che lui, "El Diego", ne ha visti tanti di calciatori in vita sua, ma nessuno con un controllo di palla come quello di Messi. Un'investitura, da Diez a Diez, da italiano d'Argentina ad italiano d'Argentina, dal miglior calciatore della storia a colui che potrebbe diventarlo a breve.

Perchè manca poco affinché avvenga il passaggio di consegne; manca poco, ma anche tanto; manca, forse, una coppa del mondo vinta da protagonista con la maglia dell'Argentina, come fece Diego nel 1986, quando un solo giocatore mise così tanto di suo nella vittoria di un mondiale, come mai successe nella storia. Per il resto no, non manca niente, anzi: tutti i numeri, tutti i trofei vinti nel club parlano a favore di Leo. Ed anche le caratteristiche tecniche sono simili, solo che Messi rispetto a Diego si esalta nel fondere il minimalismo del gesto tecnico con l'applicazione della teoria della relatività al calcio. "non ho mai visto nessuno col tocco di palla di Messi". Aggiungerei, modestamente: non ho mai visto nessuno col tocco di palla di Messi eseguire quel tocco di palla alla velocità di Messi, dominando lo spazio-tempo come fa Messi. Teoria della relatività applicata al calcio, quando Leo riesce a far passare una sfera di 22 centimetri di diametro attraverso gli spazi impossibili, quando riesce a telecomandarla verso obiettivi coperti da gambe e mani avversarie, quando riesce a farlo in un decimo di secondo, come se per lui il tempo rallentasse, come se avesse la possibilità di fermarlo per ragione sul come, sul quando e sul perché far passare quella sfera di ventidue centimetri di diametro proprio lì, dove è necessario che passi, dove è logico che passi. Usa il tempo e lo spazio a suo piacimento, grazie ad una velocità di esecuzione estrema, abbinata ad una precisione che non ha spiegazioni. Il tutto senza fronzoli inutili, il tutto con minimalismo da massimo risultato col minimo sforzo. Anche perché le giocate sontuose, ridondanti, i dribbling infiniti, irridenti sono comunque parte integrante e persino logica di un repertorio tecnico sconfinato.

Inutile aggiungere che ai prossimi mondiali in Brasile il mio tifo, la mia speranza, saranno rivolti a veder trionfare l'Argentina di Leo Messi, a veder trionfare soprattutto il calcio di Leo Messi, il minimalista che applica al football la teoria della relatività.









 
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