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Farsopoli di F. FILIPPIN del 21/03/2014 13:32:52
Calciopoli: Motivazioni che non motivano nulla

 

Abbiamo atteso qualche giorno dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Corte di appello di Napoli che nei fatti ha confermato la condanna di Luciano Moggi, prima di pubblicare le nostre osservazioni circostanziate.
Volevamo evitare i commenti a “mente calda”, che troppo spesso può influenzare il giudizio, proprio come è, invece, accaduto a “parti invertite”, con l'apparizione sui principali organi di stampa di stralci della sentenza scelti ad hoc, volti, a tutta evidenza, a far trasparire una realtà che non c'è, ovvero una colpevolezza fondata su elementi oggettivi ed inequivocabili.
Glissiamo su questa consueta prassi italica e preferiamo concentrarci su quello che davvero ci interessa: su come sia stato possibile confermare di fatto in secondo grado una sentenza che ci era apparsa aberrante e lontana dalla realtà.
Dopo la lettura delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Napoli, avevamo, infatti, sentimenti contrastanti: da un lato vi era la rabbia di chi non poteva capacitarsi di come si potesse essere giunti a tali conclusioni, dall'altro, sullo stesso piano, vi era (l'ingenua) aspettativa che un nuovo giudizio, nella speranza più lontano dall'”emotività” (chiamiamola così) che aveva contraddistinto il giudizio lungo e difficile, potesse ristabilire le cose e fare chiarezza e Giustizia (con la G maiuscola) su una vicenda troppe volte strumentalizzata.
Siamo rimasti delusi anche stavolta, non solo dal risultato del processo (che per quello che riguarda la doverosa restituzione dei due scudetti scippati alla Juventus, la sentenza - come quella di primo grado - potrebbe essere anche considerata favorevole, ma torneremo su questo aspetto), ma anche e soprattutto dalle sue motivazioni.
Quello che emerge chiaramente è che, ancora una volta, non pare esserci stato un giudizio basato su fatti e su prove, sulla loro valutazione critica e sulle risultanze oggettive dell'attività investigativa dell'accusa e della difesa, ma un nuovo processo al “personaggio Moggi”, per come è stato costruito negli anni nell'immaginario collettivo (un po' anche per colpa sua e della sua personalità, bisogna dirlo) e che sulla base di questa immagine di “lupo cattivo” si sia valutato tutto il mondo che gli girava attorno, con una inversione logica inaccettabile, in cui la condanna non è conseguenza della valutazione dei fatti, ma è stata l'interpretazione che è stata data dei fatti conseguenza di quello che pareva dover essere l'esito del processo.
La sentenza, di oltre 200 pagine, non dà risposte chiare su nessuna delle questioni sollevate dalla difesa e da chi, come noi, ha seguito il processo sin dall'inizio, sia sul modo in cui sono state condotte le indagini (parziale e grossolano), sia sui molteplici errori e sulle conclusioni palesemente sbagliate a cui si è giunti, che, una volta emendati, avrebbero dovuto portare a conclusioni opposte.
Una sentenza in cui c'è un po' di tutto, dai rapporti di potere in seno alle istituzioni calcistiche alle carriere di arbitri e dirigenti, dai legami con i mass media alle presunte strategie nell'elargizione di ammonizioni: tutte cose che avrebbero dovuto, almeno in appello, essere puntualmente verificate (non era cosa poi tanto difficile) e non semplicemente prese per vere e poste alla base di teoremi che con i principi che regolano la “prova” nel processo nulla hanno a che fare.








 
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