Sul finire del primo tempo Marchisio insaccava la terza rete contro un Cagliari niente affatto male, dopo che Pirlo aveva dato la solita lezione su punizione e Llorente aveva chiarito ancora una volta di essere un attaccante fatto e finito.
102 punti. Il vecchio primato europeo era di 101 punti per il Benfica (100 per Real Madrid e Barcellona), di 97 per l’Inter in Italia. 22 partite concluse senza subire gol.
Migliore attacco e migliore difesa. Tutte le partite in casa vinte. Questo il volto spietato di una squadra che egli ultimi tre anni ha ripreso il suo percorso esattamente dove l’aveva lasciata Capello, con il solito vizio di macinare punti in campionato umiliando le antagoniste.
La Juventus adesso è obbligata a vincere anche in Europa. Eppure il deflagrante risultato del terzo scudetto consecutivo, seguito al primo venuto dopo due stagioni concluse al settimo posto e portato a casa senza perdere una sola gara, al secondo che ha segnato una conferma importante, tornando indietro con la memoria a rileggere i titoli delle più importanti testate sportive nazionali, sembra un risultato inatteso.
In principio era stato il tormentone del top player. Un nome roboante. Un calciatore di quelli che hanno già vinto tutto, capaci di ispirare i compagni al cross quanto i tifosi ad accontentare gli sponsor comprandosi magliette e gadget. Detto fatto. Il proverbiale braccino corto intravisto negli anni della gestione di Marotta non poteva non fiutare l’affare.
Tevez era lì che non se lo filava nessuno e costava poco dopo le disavventure del rapporto con Mancini, che lo aveva relegato a fare tribuna per una sfilza infinita di mesi, ma ardeva dalla voglia di dimostrare a tutti che a 28 anni non era finito e cercava l’occasione per rilanciarsi in ottica mondiale.
La stampa nostrana finse di ignorarne il passato illustre, l’exploit nel calcio inglese e il fatto che tutto sommato l’ascesa di Messi ne avesse oscurato la gloria. Tevez non è stato convocato dal ct dell’Argentina, ma ha rischiato di finire questo campionato in testa alla classifica dei cannonieri, ha segnato fino all’ultimo, ha fatto pace col gol in coppa dopo cinque anni di astinenza. Salutato dalla stampa italiana con l’appellativo di grasso, la sua forza fisica è stata l’altra faccia della roccia del suo animo, dell’instancabile guerriero che si prodiga ovunque sul campo, dell’Apache con il carisma che entra nel cuore della squadra, del gioco, dello spogliatoio,dei tifosi. L’erede di Del Piero nell’elenco dei campioni un po’ più campioni di tutti: quelli col n. 10.
Ma c’era il problema
Buffon. A detta di molti, non era più il n. 1. Gigi ha smentito tutti e ci ha regalato una serie infinita di parate plastiche, necessarie, belle da vedere, salva-risultato, così come deve fare il portiere della Juve e della Nazionale. A Buffon piace ascoltare il canto delle sirene azzurre.
Mentre tutti si chiedevano se la Juve avvertisse ancora gli stimoli giusti per vincere lo scudetto, c’era un
Pirlo datato che non ce la poteva fare. Io penso che da quando Galliani ha deciso che s’era invecchiato, lui per dispetto s’è ringiovanito. Con la sua eleganza innata, il suo senso della misura, il suo equilibrio tra corsa e lanci, i suoi passi di danza fluidi e meravigliosi, la sua capacità balistica, ha messo in fila una tale serie di reti su punizione e ha costituito a tal punto il cardine della squadra, che l’unico ad aver avuto qualche problema è stato
Marchisio, impegnato per un certo tempo a sostituirlo a tratti egregiamente.
Intanto la Roma si dava da fare e collezionava una decina di belle prestazioni candidandosi alla conquista dello scudetto con altrettante vittorie. Una bella squadra quella di Garcia, che però più di una volta ha esibito una carenza di carattere tutta capitolina, andando a perdere i due scontri diretti con la Juve senza affatto incantare e a metà corsa
insinuando dubbi su un sistema che a conti fatti ha chiuso un occhio sul vizio di Gervinho di segnare in fuorigioco. Tuttavia Pruzzo era certo a ottobre che la Roma avrebbe ammazzato il campionato e dato 10 punti alla Juve (
Link). Gliene abbiamo dati 17.
Eppure anche il secondo attaccante scelto da
Conte e
Marotta destava evidenti preoccupazioni e ironie nella stampa locale. Alto. Occhi azzurri. Magro, niente da dire. Troppo bello per essere vero. In effetti
Llorente bello lo è, ma sfortunatamente per le penne spiritose di Tuttosport, che si domandava se non avesse solo doti estetiche, era anche lui in cerca di un volo per il Brasile, che si è conquistato a suon di gol.
E che dire di
Barzagli? Uno di quei campioni silenziosi che ti mancano ogni volta che non ci sono. Mentre tutti vorrebbero
Vidal e
Pogba, talenti affermati di una Juve che guarda l’Europa dal tetto più alto che c’è. Perché la Juve è il sogno italiano. Ed è il sogno da portare in Europa. Con il nostro Capitano. Antonio, che dici? Il bello deve ancora arrivare.
La storia continua, la storia di un Grande Amore.
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