Sotto l’ombrellone lo scudetto lo vincono sempre a Roma e a Milano. Se la benedizione arriva direttamente da Sconcerti, che del calcio italiano è stato eletto guru dalla GDS e da SKY nel solco di Brera e Cannavò (si vanti chi può), allora è sicuro che quest’anno è dell’Inter.
Del resto anche Andrea Agnelli ha parlato chiaro e tondo non tanto di fuorigioco e moduli, ma di brand. Per quelli con la memoria corta, il brand è un concetto che si spiega comunemente come marchio e meno genericamente con le potenzialità che un marchio assume sul mercato.
Per molte squadre italiane un jolly già giocato, portandolo in pegno alle banche. Una trovata usata a suo tempo da certi presidenti onesti per antonomasia, che di debiti ne accumulavano tanti che non era sufficiente nemmeno truccare i bilanci. La Juve non lo ha mai fatto. Però sulle potenzialità del suo marchio ha deciso di investire, volando dall’altra parte del mondo perché d’estate non si gioca un calcio che serve per dare indicazioni sulla prossima stagione agonistica, ma per fare soldi.
La faccenda sembra essere rientrata tra le incomprensioni che hanno portato alla rottura tra Conte e Agnelli e non è troppo gradita nemmeno a coloro che del calcio guardano al gioco nudo e crudo. Per loro sarebbe un suicidio tranciare la preparazione per fare passerella tra jet lag, amici di Holly e Benji e vecchie glorie. Ci sarebbe da discuterne con analisi sofisticate e previsioni fatte coi diagrammi. Solo che la Juve che è sbarcata a Jakarta è stata accolta con un tripudio inverosimile ed è stato tangibile che i 14.000.000 milioni di innamorati italiani bisogna moltiplicarli almeno per dieci per ottenere il numero dei tifosi effettivi. Alzi la mano chi, seppure in ansia per la campagna acquisti o ancora in collera per il cambio di allenatore, non ha goduto come un riccio nel rendersi conto che tutte quelle migliaia di persone abbigliate in bianconero che cantavano a squarciagola i cori dello JS erano i conterranei, ma proprio i paesani del signor Thohir, alias il magnate erede di Moratti e di tutti i suoi debiti alla presidenza dell’Inter.
A voler ricercare le cause di un amore così grande la mia opinione è che si debba ritornare col pensiero e col cuore al 1996, quando la Juve di Lippi, dopo aver vinto la Coppa dei Campioni, si portò a casa dal Giappone anche la Coppa Intercontinentale. L’autore del gol che rese possibile l’impresa è
Alessandro Del Piero, un calciatore e un uomo nella cui vicenda sportiva e umana risiede la storia, l’epopea e il dramma di una Juve che nei suoi diciotto anni di permanenza in bianconero ci ha fatto vivere tutte le emozioni che il calcio può sportivamente e umanamente regalare.
Quando sei Juventino lo sai, le emozioni non finiscono mai. La Juve che si è presa gioco delle All Stars con gli occhi a mandorla ha ripreso il volo per approdare a Sidney, dove ad aspettarla c’era non solo la selezione di stelle del calcio australiano, ma Alex in carne e ossa, il Cavaliere che per la prima volta indosserà contro la sua Signora la maglia dell’avversario.
Io c’ero a Torino quando Alessandro ha fatto la sua ultima partita in bianconero e ha salutato il suo pubblico con il suo ultimo giro di campo il 13 Maggio 2012. Ricordo bene come piangessero tutti sugli spalti e come non solo la partita e i calciatori dell’Atalanta, ma tutto il mondo del pallone si fosse fermato in quella manciata di minuti che scrivevano un addio troppo difficile da metabolizzare.
Solo chi mi è stato vicino in tutti questi anni può sapere cosa è stato per me Alessandro Del Piero e forse intuire quello che proverò quando si schiererà contro il suo Unico Amore. Io piangerò. Ma non ho pianto il giorno che Alex ha lasciato la Juve. Del Piero, come Conte, è una molecola di un’idea che si trasforma in emozione ogni volta che penso alla Juve. Un’emozione che mi fa vibrare come se fossi anch’io una delle note che formano l’accordo perfetto che scatena la passione e ci rende meravigliosamente partecipi della stessa storia. La storia di un grande amore.
«Quando leggo un quotidiano, sia esso anche di finanza o altro dallo sport, e l’occhio mi cade involontariamente sulla lettera J di Juventus, il cuore mi sussulta, ricevendo una grande emozione». (Gianni Agnelli)
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