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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Attualità di R. SPINELLI del 18/09/2014 08:40:17
Calciopoli-Pistorius: quante differenze!

 

In un recente articolo, pubblicato anche su Libero (Link), il sempre ottimo Davide Giacalone prende spunto dal caso Pistorius, e dalle decisioni prese dal giudice del processo,Thokozile Masipa, per lanciare il suo ennesimo “j’accuse” al sistema giudiziario italiano.

E scrive: ‘Ma il giudice, al contrario che nel nostro sistema, non deve dare corpo a un proprio “libero convincimento”, non deve inseguire una inagguantabile verità, deve dirigere lo scontro e accertare che le prove corrispondano alle accuse. Nella lunga disamina finale (da riascoltare, con ammirazione) il giudice Masipa ha messo in luce che “l’accusa non è riuscita a dimostrare” la premeditazione e la volontarietà. Attenzione, perché è decisivo: non che esistano o meno premeditazione e volontarietà, ma che sono state dimostrate e provate. Sicché il resto delle deduzioni logiche sono inutili. Buone per il bar, non per un tribunale. [...]
Da Pretoria ci è giunta una lezione di civiltà: conta solo quel che chi accusa riesce a provare, mentre il giudice non è lo Stato, ma il solo che può impedire che il cittadino sia un suddito. Il resto è fuffa.
Questo elimina gli errori? Neanche per idea, nessun sistema li azzera. Ma anche quando sbaglia, il sistema di common law lo fa in un trionfo di giustizia e diritto. Mentre da noi si tifa per il risultato, si vuole che la sentenza prenda atto della verità evidente, sebbene non provata. [...]
I testimoni sono tali se dicono quel che sanno e portano elementi cogenti, altrimenti sono chiacchiere [...]
Scrive Lucarelli: “peccato che il giudice non abbia chiarito cosa volesse fare Pistorius, se non uccidere”. Esatto, non lo ha chiarito. Perché non deve. Non è il suo mestiere. Solo i pazzi credono di possedere la verità e di poterla chiarire agli altri. Un giudice serio, in un sistema funzionante, accerta se ci sono le prove. E “l’accusa non è riuscita a dimostrare”. Tutto qui. Ed è veramente tutto.’



E sebbene le considerazioni di Giacalone mirassero ovviamente a sostenere una tesi ben più generale, leggendo le sue parole non ho potuto fare a meno di ripensare a quanto è successo nella famigerata aula 216 a Napoli.( Link)

Un’aula in cui, abbiamo scoperto, il Procuratore Capo, quindi il capo dell’accusa, può permettersi di fare pressioni per tentare di far astenere il Giudice designato, evidentemente ritenuto non sufficientemente allineato, perchè “tiene sotto schiaffo il Presidente del Tribunale”. E in cui lo stesso Pubblico Ministero ritiene di richiedere, per ben due volte e senza successo, la ricusazione (tre ricusazioni in totale, 1 dalle parti civili e 2 dal PM) di quel Giudice.

Un’aula in cui si è voluto dar credito, provando a spacciarle per prove, alle chiacchiere da bar di personaggi più o meno credibili; alle insinuazioni e alle ricostruzioni, spesso in contraddizione tra loro di chi, allora arbitro in attività, andava in cerca di un posto di lavoro accompagnato da alti dirigenti di chi si proclama “onesto a prescindere”, sebbene si stesse “squalificando come teste”; alle deliranti farneticazioni di chi, incurante dei propri insuccessi ed esoneri dalle panchine di mezza Europa, si autoproclamava il miglior allenatore del mondo, anche se “abbiamo inquadrato il personaggio” ; a misteriosi colpi di tosse; alle memorie, redatte peraltro su carta da formaggio, di chi non è più tra noi, cercando di trasformare un processo in una seduta spiritica; addirittura ai commenti di tifosi su un forum di una squadra romana.

Un’aula in cui, al contrario, si è scelto di ignorare, se non addirittura forse di manipolare ed occultare, le prove che smentivano le accuse, le telefonate che potevano mettere in imbarazzo chi ancora oggi si ritiene titolato ad indossare uno smoking bianco, le segnalazioni del guardalinee Coppola, perchè “l’Inter non interessa” .

Un’aula in cui, “piaccia o non piaccia” , “l’accusa non è riuscita a dimostrare” un bel niente: anzi, le sentenze hanno certificato che il campionato era regolare, che, cioè, nessun reato è stato in realtà commesso (o almeno così si sarebbe concluso in un Paese civile).
Un’aula in cui, invece, con estrema arroganza e sprezzo del pericolo, si è inteso condannare ugualmente, perchè chi ne era deputato sapeva di poterselo permettere, anzi forse di doverlo fare in ogni caso.
E lo si è fatto arrampicandosi sugli specchi dei giudizi morali sul carattere degli imputati, di fantomatici “reati di pericolo” , di telefonate al Processo del Lunedi”, di processi alle intenzioni: di “chiacchiere da bar” .
Arrivando al punto di farcire le motivazioni di errori, di distorcere e manipolare i fatti pur di condannare oneste persone che hanno avuto la sola colpa di essere funzionali alla necessità di mantenere in piedi un castello di carte basato sul nulla.

E allora, riguardando invece a cosa è successo in quell’aula a Pretoria, non posso che convenire con Giacalone, quando dice che “Dietro questa sentenza c’è la cultura di un mondo che non idolatra lo Stato e non confonde le sentenze con il buon senso comune. Quanta lontananza dai magistrati italiani che dicevano: anche se il processo non è ancora manco cominciato, la condanna pubblica è già stata emessa.”
Anche io, come lui, “Invidio i sistemi in cui i giudici si chiamano Masipa”.

Ora siamo qui, in attesa delle sentenze della Cassazione, prima per il processo abbreviato a Giraudo e poi per quello a Moggi. E nonostante tutto, provo ancora a sperare che anche all’interno di questo sistema malato possa in realtà ancora trovarsi qualche Masipa che abbia il coraggio di guardare in faccia la realtà e ristabilire un minimo di Giustizia.
Le possibilità sono probabilmente nulle ma, si sa, sperare non costa nulla.

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