La radio è nata in Italia novant’anni fa come URI, Unione Radiofonica Italiana: pochi ascoltatori, visto l’elevato costo degli apparecchi, che aumentarono per l’abitudine degli italiani di andare a sentirla tutti insieme nei locali pubblici, quando lei aveva già cambiato nome in EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche. C’era poco intrattenimento e tanta informazione di regime, poi comparvero i primi comunicati commerciali e, nel 1931, fu trasmessa la prima radiocronaca di un incontro di calcio (Italia-Ungheria). Il periodo d’oro della radio inizia negli anni ’50, quando cambia ancora nome in RAI, Radio Audizioni Italia e la notevole diminuzione del prezzo degli apparecchi fa sì che ce ne sia uno in quasi tutte le famiglie. Nel 1951 trasmette il Festival di Sanremo e sono adottate misure per l’imparzialità dell’informazione. Nel 1954, chi pensava che l’avvento della televisione potesse determinare la morte della radio, si sbagliava di grosso (“Video killed the radio star” la canzone dei Buggles, è stato un falso storico): la radio era più viva che mai, rivitalizzata da una maggior qualità dei programmi, estesi fino di notte.
L’evento storico che lega noi calciofili alla radio avviene col campionato 1959/60, complice la miniaturizzazione delle radioline per l’utilizzo dei transistor, quando inizia la trasmissione di “
Tutto il calcio minuto per minuto”. Nata da un’idea di Guglielmo Moretti, prima dell’avvento delle pay per view, per vent’anni è stata l’unico mezzo per seguire in diretta il secondo tempo della partita della squadra del cuore. La trasmissione era condotta da Roberto Bortoluzzi, che dallo studio centrale dava la scaletta e i tempi degli interventi dai vari campi, per la cronaca dei secondi tempi delle gare più importanti. Le radioline erano già sintonizzate da qualche minuto, la trasmissione in modulazione d’ampiezza obbligava a contorsioni per ottenere la ricezione migliore, fino al sospirato annuncio: “La Stock di Trieste è lieta di presentare …” seguito dalla mitica musichetta (“Taste of honey” di Herb Alpert & The Tijuana Brass) che precedeva l’ingresso in voce di Bortoluzzi.
Per chi scrive, che ha una trentina d’anni meno della radio e l’imprinting bianconero derivatogli dallo zio, di domenica divenne sopportabile il dover uscire, ben vestiti, per andare con i genitori in passeggiata a Viareggio o a far visita a vecchie zie. Con la radiolina all’orecchio, tolleravo molto meglio le soste davanti a vetrine per me assolutamente inutili o le barbosissime cerimonie del tè condite da discorsi “da grandi”. Eravamo tutti abilissimi a interpretare i rumori di fondo provenienti dal campo che stava per intervenire, per sapere, prima dell’annuncio dello speaker, se aveva segnato la squadra di casa o quella in trasferta; poi era un gioco da ragazzi, capire chi era passato in vantaggio al semplice riconoscere la voce del cronista.
Al tempo si parlava di cronista o speaker, ma è un termine peggiorativo per definire quel fior di professionisti che erano
Carosio, Ciotti, Ameri, Boscione, Provenzali e tutti gli altri. Carosio era il maestro assoluto, Ciotti era più commentatore, Ameri faceva cronaca pura, così incalzante che non si riusciva a capire come facesse a respirare, mentre Luzi era più famoso per le interruzioni inopportune che per la propria professionalità. Ogni tanto si facevano dispettucci tra loro o infierivano un po’ sui tifosi, come il ciottiano “Clamoroso al Cibali!”, a evidenziare lo svantaggio dell’Inter a Catania, appena definita da Helenio “una squadra di postelegrafonici”. Giornalisti che si presentavano col cognome attaccato al nome (“Niccoloccàrosio”), che hanno coniato discutibili neologismi come “quasi rete” e frasi incomprensibili ai più, come “campo per destinazione”:
ma che gran professionisti erano, nel loro racconto di un calcio pulito in cui la cronaca non lasciava spazio alla cultura del sospetto. Alla fine, se avevi vinto, “brindavi con Stock”, se avevi perso “ ti consolavi con Stock” e finiva tutto lì. Non raccontavano il calcio bilioso, spasmodico, da ultima spiaggia, da tutti contro tutti che usa ora. Se avevano visto un fuorigioco, questo era fuorigioco per la Juve e per la Roma, non era fuorigioco di un soffio se il giocatore era giallorosso, mentre era evidente se il giocatore era bianconero; i gol erano sempre buoni, chiunque li segnasse, quando segnalinee e arbitro tornavano a centrocampo, non come ora, che il gol dell’Inter è immediatamente validato, mentre quello della Juve, beh, forse è meglio attendere la moviola di Cesari; i falli erano falli di gioco, mentre ora i falli tattici di Marchisio sono sempre maliziosi, mentre quelli di Nainggolan “andavano spesi”.
Gli uomini di Bortoluzzi avevano la loro squadra del cuore: Ciotti era laziale, Ameri genoano, Barletti juventino, Beppe Viola milanista, ma l’ho scoperto solo con internet, allora non lo capivi
dalle radiocronache, permeate solo dalla loro professionalità. I loro eredi degeneri di oggi, stendendo un velo pietoso su quella farsa di trasmissione che fu il Processo di Biscardi (nella sua insulsaggine, forse una delle spinte principali verso la cultura del sospetto che domina oggi il calcio in Italia), giornalisti o opinionisti che siano, durante il loro lavoro tifano palesemente. Tifano durante le partite e nelle trasmissioni di commento, ma non lo fanno per quell’amore che li ha contagiati bambini, sarebbe concepibile, ancorché poco professionale: no,
essi sono schierati perché lo esige l’editore, che interpretando il “sentimento popolare” come ai famigerati tempi di Calciopoli, usa questi pennivendoli prezzolati per dare alla gente ciò che la gente vuole, la Juve ladrona. Di questi, pochi ricordano i loro nomi, che mai passeranno alla storia come i loro predecessori. Sono giornalai senza una vera opinione, massificati nell’ambito di uno schieramento, a utilizzare la loro verità parziale non per la cronaca, ma in soccorso dei propri colori e del proprio editore. Quel che rincresce, è che nessuno si azzarda a protestare, tranne siti come il nostro, Non vorrei fare il nostalgico degli anni ’60, ma questi scribacchini farisei e prezzolati mi fanno rimpiangere il tempo in cui, se non potevi andare al Comunale, potevi trascorrere il pomeriggio con l’orecchio attaccato a una radiolina. Un rimedio, purtroppo solo parziale, esiste: guardarsi le dirette su Sky o Premium, azzerando l’audio di Caressa e Piccinini per evitare crisi ipertensive.
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