La violenza ormai è sempre più radicata nel modo di vivere il calcio in Italia. Sulle prime pagine finiscono spesso i disordini per il calcio maggiore oppure, come accade in questi giorni, episodi di una gravità inaccettabile. Non osiamo immaginare nel mezzo cosa succede e rimane ignoto.
Qualche giorno fa il presidente di una squadra di calcio giovanile avrebbe aggredito un giovane arbitro e poi compiaciuto e a freddo ha dichiarato che lo avrebbe ammazzato. Oggi apprendiamo di un nuovo episodio infame: durante una partita di giovanissimi il padre di un calciatore è entrato in campo e ha malmenato l'arbitro. Il figlio di questo energumeno ha compreso la gravità del fatto e ha chiesto scusa tra le lacrime per quanto fatto dal genitore.
La salvezza non può venire più dal basso. Gli esempi di cattiva cultura sportiva da parte di calciatori, allenatori e dirigenti famosi e multimilionari hanno irrimediabilmente corrotto anche quella parte del gioco del pallone che dovrebbe servire da momento di crescita psicofisica ed educativa. Il giovane calciatore non viene mandato più in mezzo ai coetanei per imparare a stare nel mondo e ad accettare le regole del contesto in cui si trova. Genitori avvelenati dai fumi del calcio dei grandi istigano a comportasi come se si fosse in una giungla e se del caso passano direttamente alle vie di fatto. Non si fa altro che crescere i simulatori e gli antisportivi di domani. Insieme a loro si pretende di creare la classe arbitrare timorosa della violenza fisica e verbale di modo che sarà forgiata alle prime pagine che conosciamo.
In una settimana ci siamo forse giocati la serenità di due arbitri diciassettenni (complimenti a quei padri di famiglia che hanno messo le mani addosso a chi potrebbe essere loro figlio) e un ragazzino di quattordici anni che non potrà più vivere con serenità il calcio.
Ma chiudete tutto, conviene.
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