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Attualità di S. BIANCHI del 14/11/2014 13:46:09
Professionisti della panchina

 

Mio zio, già arbitro di calcio, poi una vita nella federazione cronometristi, è stato il mio primo maestro di calcio: da lui ho ricevuto i primi insegnamenti sul campo. Meglio, dalla tribuna dell’allora Arena Garibaldi, quando il Pisa veleggiava tra Serie C e Serie D. Non usava i termini di adesso (creare la superiorità numerica, fare la diagonale, ripartenze), ma i concetti erano gli stessi. Il maestro era bravo e paziente, cosicché anch’io, ad un certo punto, potevo pregustare i movimenti con e senza palla dei giocatori ed anche il preciso istante in cui “mitico” 10 di allora, Cervetto, lanciava “negli spazi” il velocista Beppe Cosma.

Erano i tempi in cui il calcio in TV era limitato ad un tempo di una partita, la domenica sera: una volta, a causa dello sciopero dei cameramen, tale trasmissione consistette in un’immagine fissa con i giocatori ridotti a puntini sullo schermo. Al bambino che ero, ancora sprovvisto di coscienza sindacale, vennero in mente cose poco simpatiche sugli scioperanti, ma in compenso ebbi la conferma di uno degli insegnamenti di mio zio: la partita si legge molto meglio dall’alto e da lontano che dal basso e da vicino.

Anche oggi, ciò che si chiama “occupazione degli spazi”, ”superiorità numerica” e così via, lo vedi con difficoltà dalla panchina, mentre puoi apprezzarlo molto meglio con un’inquadratura larga in TV o dall’alto degli spalti.

Non voglio commentare dal punto di vista normativo quanto abbiamo pubblicato nei giorni scorsi trattando del supervisore di Garcia mimetizzato sugli spalti: qui vorrei parlare solo di professionisti della panchina. L’anno scorso, Garcia mi piaceva: la Roma, pur se Totti-dipendente, giocava proprio bene e lui, piovuto nella terra di “er gó de Turone”, pareva anche molto signorile nello sdrammatizzare e nel riportare al calcio giocato le isterie dietrologiche e la cultura del sospetto che aleggia sui Sette Colli. Che caduta di stile! Farsi telecomandare gli spostamenti sul campo e le sostituzioni dalla tribuna, più che d’allenatore, sa di prestanome.

Per contrasto, sono andato a ripensare le varie filosofie che hanno improntato alcuni nostri allenatori, personalmente valutate in tanti anni di Comunale, Delle Alpi, Olimpico e Stadium. Poco posso dire di Ferrara, Zaccheroni, Del Neri, Ancelotti e Deschamps, tranne che i cambi effettuati dagli ultimi due, solitamente erano graditi sia da me che dal pubblico. Di Capello ricordo principalmente un modo di gestire le sostituzioni che indispettivano assai gli spettatori di fede bianconera ed umiliavano Del Piero. Di Ranieri spesso non condividevo nemmeno la formazione iniziale: le sue sostituzioni erano spesso la correzione di errori di formazione, più che aggiustamenti indotti dal gioco dell’avversario. Trapattoni l’ho visto all’opera un innumerevole numero di volte: era un uomo fortunato, non costretto alle sostituzioni per correggere una Juve in difficoltà, vista la facilità di quella squadra ad andare in vantaggio.

Ignaro che la miglior difesa è l’attacco, notazione ben nota già prima di Sacchi, sull’1 a 0 sostituiva Marocchino o Rossi con Prandelli o Tavola: il fatto che si andasse in difficoltà dopo la sostituzione, al Trap non ha mai suggerito nulla. Mentre di Conte non serve continuare a dir bene, rischiando di ripetersi, termino con l’allenatore che più di tutti ho visto all’opera, anni in cui andavo a Torino quasi ogni quindici giorni (senza contare i mercoledì di Coppa): era il periodo del quinquennio di Marcello Lippi. Quando dall’alto mi iniziavo ad accorgere che nella squadra qualcosa non andava (non siamo tutti Brera o Caminiti), Marcello aveva già fatto la diagnosi esatta ed azzeccato la giusta contromisura. Ed in mano, LUI non teneva strani congegni elettronici, ma l’usuale, amato Mercator.

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