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Il progetto non dipende da un solo risultato, è importante creare la base per migliorare sempre e avere la possibilità, anno dopo anno, di vincere attraendo giocatori migliori. La Juve è l'esempio: struttura, rosa, organizzazione della società, componenti che si sono consolidate negli anni. I giocatori e la struttura della società fanno la differenza".
Queste parole, che ai più "vecchi" dell'associazione faranno venire qualche brivido ricordando non un progetto ma un projetò, sono un estratto dall'intervista rilasciata alla "rosea" non da un filojuventino conclamato, ma da tale Rafael Benitez, professione allenatore del Napoli.
Chi ha seguito le vicissitudini del calcio italiano di questi ultimi anni ricorderà sicuramente "l'altra" avventura italiana dell'allenatore spagnolo. Per un periodo durato da Natale a Santo Stefano, infatti, fu il Mister di un'altra squadra spesso indicata come esempio, tanto da fregiarsi di un riconosciuto simbolo di onestà e purezza virginale, incarnata da un celebre smoking bianco. Diciamo che pertanto il buon Rafa ha avuto modi e tempi per farsi un'idea precisa del calcio di casa nostra.
Tralasciando ogni osservazione sull'odierno operato della Juve di Marotta e Paratici, che ci trascinerebbe inevitabilmente in un valzer di polemiche a causa dell'abitudine italiana di essere esperti tuttologi sempre e comunque (finiremo tutti a seguire i lavori stradali con le mani in tasca borbottando "quella buca lì l'avrei fatta più profonda") volevo focalizzare un attimo la questione su di una parola che, sebbene assente nel discorso di Rafa Benitez, lo condensa in assoluto. La parola è
programmazione.
I più grossi fenomeni sportivi del Calcio Mondiale degli ultimi anni non sono nati per caso. Il Barcelona di Pep Guardiola, ad esempio, nasce da molto lontano: quando noi in Italia attendevamo come il Messia i Mondiali di Italia 90 per ricuperare qualche stadio malmesso, nel centro della città catalana costruivano all'interno del Camp Nou il museo del Barca (lo JS ci arriverà solo vent'anni dopo ed è tuttora un precursore, in Italia). La squadra blaugrana organizzava già da tempo team satelliti, settori giovanili... e poi l'esempio più famoso di tutti... i suoi tecnici andavano a pescare a 12000 km di distanza un ragazzino malaticcio per curarlo e farne una sorta di semidio del pallone.
Ovvio che un discorso del genere vuol dire investimenti. Vuol dire seminare un orto, zappare e concimare quotidianamente la terra, mentre in Italia siamo abituati a entrare al supermercato e comprare i pomodori incellophanati.
Tutto e subito. Comprando giocatori per l'appeal del nome (qualcuno ha detto Ronaldinho?) o al 3x2, un tanto al chilo (Signora mia... àmo un Gresko e un Vampeta... che faccio? Je dò anche un Sorondo fresco fresco de stamattina e famo cifra tonda?).
Qualche volta va bene. Anche perché, voglio dire... se ti fai una rosa di 82 elementi, qualcuno buono per la legge dei Grandi Numeri ci può essere. Ma non è su queste cose che puoi basare un progetto serio.
Programmare significa inserire due - tre elementi in una rosa anno per anno sempre più competitiva. Significa prendere ragazzi e farli crescere accanto a "chiocce" di indiscusso valore. Una delle colpe più grosse che imputo alla "nuova" Juve è quella di aver preso un campionissimo come Pirlo ma di non aver preso un ragazzino (chi ha detto Verratti?), metterlo in panca e dirgli "stai qui bravo e studia quel signore che sembra Chuck Norris, poi alla prima amichevole ti fai il secondo tempo). Quella è PROGRAMMAZIONE. Perché tra un anno o due un altro Pirlo a costo zero non lo trovi più.
E poi c'è la terza via. Che purtroppo è la più "italiana" di tutte. Perchè quando il mio vicino si compra l'auto nuova, non pensiamo a come possiamo comprarla anche noi, ma: 1) di sicuro ha guadagni loschi 2) se gliela righiamo con un chiodo facciamo una sorta di Giustizia Divina.
Se qualcuno è più forte di noi, se qualcuno programma meglio di noi, se qualcuno ha risultati migliori dei nostri, di sicuro non li merita. E devo fare qualcosa per distruggerlo. Ed è storia vecchia, che tutti i lettori dell'Associazione ricordano bene. Ma anche -e purtroppo- storia di tutti i giorni.
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