Il rinvio al 23 marzo dell'udienza della Cassazione su calciopoli pare aver messo in moto alcune redazioni in cerca di colpevoli per la dilatazione di tempi che faranno scattare la prescrizione.
Il presidente della terza sezione, Aldo Fiale, ha fatto capire che
"data la complessità e la corposità" degli incartamenti si è reso necessario il rinvio per un più approfondito esame della questione. Calciopoli in effetti è un processo complesso che si alimenta (non si disperde) di mille rivoli investigativi e dibattimentali, i quali causano i motivi di doglianza di legittimità delle sentenze napoletane.
Ci è capitato di leggere al riguardo i commenti e le allusioni pubblicati su Il Fatto Quotidiano e La Gazzetta. La rosea punta il dito su Teresa Casoria. Dopo aver ricordato che aveva rimbrottato a una delle due colleghi a latere
«Vuoi fare sempre le cose alla perfezione? Tanto qui finisce sempre tutto con dichiarazioni di prescrizione. Mi avete abboffato le palle!» , Alessandro Catapano scrive:
«E del resto alcuni dei più clamorosi rallentamenti imposti a calciopoli sono scaturiti proprio dalla sua gestione, messa in discussione dalla Procura di Napoli e persino dai giudici del suo stesso collegio» (
Link).
È opportuno allora recuperare un po' di memoria e cercare di capire perché si è perso molto tempo durante il primo grado del rito ordinario. Viene in mente che la prima udienza fu sostanzialmente dedicata alla posizione dell'arbitro Dattilo, che fu necessario riunire al filone principale e sulla quale il collegio dové pronunciarsi su tutte le questioni preliminari. Proprio in quell'occasione la presidente parlò per la prima volta di motivi di “economia processuale”. Ci furono poi le esclusioni di molte pretestuose parti civili, tra cui anche la teste Francesca Sanipoli, che cercò di re-insinuarsi nel procedimento quando era già in corso e facendo perdere altro tempo. Esclusione che provocò una delle ben tre ricusazioni del Giudice Casoria, due furono proposte dai PM, i quali con senso del dovere lasciarono il processo prima ancora della sua conclusione. Beatrice (fu "promosso" ad altro ufficio) e Narducci (responsabilmente si buttò in politica...) lasciarono il subentrato Capuano con il cerino in mano.
Ma non è tutto, anzi, quanto ricordato è il meno. Teresa Casoria ha l'unica colpa di non essersi allineata a un certo modo di fare, di non sottostare alle influenze che le Procura di Napoli esercitava presso il Tribunale. Come dimenticare infatti il procedimento disciplinare promosso a suo carico e contro la quale davanti al CSM testimoniarono proprio i PM e le Giudici a latere del processo calciopoli? Sarà stato un caso? No, perché tutto rientrava in una strategia della Procura di Giovandomenico Lepore tesa a far astenere il Giudice Casoria dal processo. Carlo Alemi presidente del Tribunale di Napoli, forse più permeabile della Casoria alle pressioni di Lepore, cercò infatti di farle sottoscrivere
una irrituale lettera di astensione dal processo. Teresa Casoria rifiutò e proprio nel procedimento disciplinare innanzi al CSM svelò tutto con un eloquente
«Lepore tiene sotto schiaffo il Tribunale di Napoli». A ben vedere però, nonostante un calendario in alcuni momenti molto serrato,
i tempi del processo napoletano si dilatarono soprattutto per un altro elemento cui nessuno pare ricordare: la gestione dei testi da parte dei PM. Se la pubblica accusa spende le udienze portando sul banco testimoni quali Armanndo Carbone (ne consiglio l'ascolto), Zdenek Zeman e altri testi che nulla hanno portato in termini di utilità; se Narducci non riusciva a far presentare personaggi come Cellino (il quale solo alla terza convocazione fu fatto accompagnare coattivamente proprio dalla Casoria), e se persino il mitico (si fa per dire) maresciallo Di Laroni si assentava per almeno due udienze perché doveva sostenere esami universitari, non era certo la presidente della corte a rallentare i lavori processuali.
A ciò aggiungeteci il maggior tempo richiesto dai periti per le trascrizioni e l'escussione molto lunga di testi quali il Tenente Colonnello Auricchio e si può avere un'idea del come sia passato il tempo.
Come dicevamo anche il Fatto Quotidiano si sofferma sui motivi dei ritardi che probabilmente porteranno alla dichiarazione di prescrizione. Sebbene nell'articolo di Luca Pisapia si intravvede la solita equazione
"prescrizione uguale colpevolezza" e si scrive in termini non certo favorevoli agli imputatti che
«va salvata la storia» (immaginiamo in quale chiave di lettura), è anche evidenziato come
«Per trasferire i documenti da Napoli a Roma, un'ora e mezza in treno e due in autostrada, furono necessari» sei mesi per Moggi e dieci per Giraudo (
Link).
A ben guardare quindi se rallentamenti vi sono stati, non sono dovuti a una singolo giudice o ufficio, ma a tutto un sistema giudiziario che procede con una lentezza che non fa bene alla certezza del diritto.
Sulla diffusa convinzione che tutto si risolverà con la prescrizione, beh,
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