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Il Fatto di E. LOFFREDO del 20/02/2015 08:35:32
Serie A, diritti senza appeal

 

Nei giorni scorsi il presidente romanista Pallotta ha commentato alcune delle dichiarazioni di Lotito, in particolare riguardo a presunti meriti del laziale ha affermato: «È curioso come nello stesso momento in cui la Premier League annuncia un incremento sostanziale dei diritti tv, un individuo stia provando a prendersi i meriti del recente accordo sui diritti televisivi italiani. Congratulazioni alla Premier League per l’accordo raggiunto: è sicuramente meritato. Il mercato globale conferma che questa opportunità esiste anche per noi in Italia».

Abbiamo cercato di capire se davvero quest'opportunità c'è anche per la Serie A e abbiamo intervistato in esclusiva John Capablanca, direttore Marketing e Comunicazione di Silvia-M&P, advisor per la Premier (in realtà Capablanca e l'advisor non esistono, ma tanto chi se ne accorge?).

Mr. Capablanca, sei miliardi di euro in tre anni per la Premier. Come sono possibili quelle cifre?
«La possibilità è dettata dal mercato, quella cifra non è gettata lì a caso, ci sono studi e analisi che ci dicono che domanda e offerta si incontrano su quel valore. E non uso a caso questo termine».

Valore? Significa che il campionato inglese crescerà ancora di valore?
«La Premier ha un valore, la FA si impegna per mantenerlo e accrescerlo sia in termini assoluti che rispetto alla concorrenza. Gli inglesi cercano di farsi preferire».

Ecco parliamo di differenze, perché un appassionato asiatico preferisce United-Chelsea a Juve-Milan?
«In Italia avete la convinzione che il vostro campionato non abbia appeal per motivi economici e questo tiene lontano i top players. In realtà è il contrario, non avete potenza economica perché il vostro prodotto non ha appeal per mancanza di top players e carenze strutturali».

Si spieghi meglio
«Esempio pratico: si dice che Pogba debba lasciare la Juventus e quindi la Serie A. Ma se ciò avvenisse crede che l'estimatore asiatico del francese continuerebbe a guardare la Juventus? I campioni bisogna tenerseli per la competitività sportiva e per mantenere alto l'interesse anche internazionale. E poi c'è il resto».

Allude agli stadi vuoti e fatiscenti?
«Non solo. Questo è un aspetto immediatamente percepibile, anche se credo che i tifosi italiani non hanno la consapevolezza di quanto sia importante vivere la partita in uno stadio all'avanguardia e circondato da infrastrutture moderne. Purtroppo la serie A è un prodotto carente sia di marketing che di "packaging"».

Packaging?
«Sì. A tacere della qualità del prodotto in sé, è innegabile che media e dirigenti italiani fanno una brutta pubblicità al calcio della Penisola. Un calcio confezionato e impacchettato con troppe polemiche, troppe astuzie di bottega. Insomma, spiace dirlo, ma siete scarsamente credibili. Polemiche e zuffe politiche in lega e federazione non vi aiutano ad attrarre investors interessati a commercializzare il vostro prodotto e di conseguenza siete scarsamente appetibili anche per i top players. Il tutto si riflette sui campi da gioco, dove manca la cultura del fairplay e del rispetto per l'avversario».

Non è molto lusighiero...
«Torniamo al tifoso asiatico: è uno sportivo che può decidere quale partita guardare, come spendere i propri soldi, io non credo che gli piaccia vedere una gara condita di simulazioni, proteste e capannelli di giocatori esagitati che accerchiano l'arbitro perché non ha concesso un rigore. Non gli piace vedere ostruzionismi tattici e perdite di tempo per difendere l'uno a zero».

Sta bocciando la serie A su tutta la linea.
«Non sono io a bocciarla, sono i fatti. E i fatti dicono che siete poco competitivi anche sul campo. Le evidenzio due cose: l'altro giorno il Bayern ha vinto 8-0, per qualcuno è un'esagerazione, quasi un infierire sull'avversario (e io sono d'accordo che non si debba umiliare nessuno in campo), ma allo stesso tempo i tifosi hanno visto impegno e spettacolo per tutta la partita. Nella stesso fine settimana la capolista della Serie A ha steccato perché, per stessa ammissione del suo allenatore, nel secondo tempo credeva di avere in mano la partita e pensava di gestirla in modo conservativo fino alla fine. Può un tifoso pagare il biglietto intero per mezzo spettacolo?»

No, certo. Cos'altro invece voleva evidenziare?
«Siete rappresentati da personaggi imbarazzanti, gente che promuove un pessimo corporate branding del vostro calcio. Qualche lampadina vi si era già spenta a Marsiglia nel 1991, ma negli ultimi anni ne avete accumulate troppe: scivolate sulle bucce di banana, gestione della giustizia sportiva, blitz nel ritiro della nazionale e ora anche questa storia che un piccolo club non può ambire alla gloria della massima serie... Le dico che se il Capri (dice proprio così, ammettendo di conoscere l'isola ma non la cittadina emiliana – ndr), venisse in Serie A sarebbe una bella favola da raccontare per esportare il prodotto "calcio-Italia", ma se ci sono logiche diverse allora non ci può interessare seguire il campionato italiano».

Insomma i diritti si venderebbero di più con il Carpi e senza Lotito?
«Sì, la piccola squadra oltre a essere essenziale dà quel romanticismo sportivo che aggiunge genuinità e valore, quindi soldi. Chi invece auspica certe logiche non fa altro che squalificare la serie A. Se fra due o tre anni certi personaggi saranno ancora presenti in lega e federazione, non ci sarà advisor che tenga... E nel frattempo temo che non avrete nuovi stadi né altri top players».

Stroncati su tutta la linea. Per fortuna questo John Capablanca non esiste, altrimenti qualcuno invece di riflettere potrebbe addirittura avere la faccia tosta di rispondergli...


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