Ieri è morto Eduardo Galeano, grande uomo di libertà, scrittore, giornalista e conoscitore di calcio. Del suo impegno politico non posso e non voglio parlare, non è il luogo adatto, delle sue qualità di scrittore non posso parlare, non sono un critico letterario, ma le numerose traduzioni delle sue opere letterarie e dei suoi saggi, la stima di cui gode nel mondo letterario, parlano per lui.
Io vorrei ricordarlo per un librino che ha scritto nel 1995 e che Sperling e Kupfer hanno stampato, in Italia, nel 1997: “Splendori e miserie del gioco del calcio”. Non è un romanzo, ma sono snelle paginette che svelano piccoli e grandi particolari del nostro gioco preferito, come “il rigore che Meazza tirò al Brasile nei Mondiali del ’38, mentre gli cadevano i calzoncini”, il gol come orgasmo del calcio, i tifosi in eterno pellegrinaggio. In esso, accanto ad aneddoti come “la cilena”, sulla nascita della rovesciata, pezzi di storia come la nascita del soprannome “la maquina” (la macchina), riferito al River Plate dei primi anni quaranta.
C’è anche tanta politica del calcio, come l’aspra critica all’asservimento del calcio alle multinazionali e il ridicolo di cui si coprono gli intellettuali negando il valore che il calcio ha per le masse. Riposa per sempre, spero che il tuo National vinca quest’anno la Primera Divisiòn Profesional de Uruguay. Ho riletto volentieri, qua e là, quel tuo librino, prima di riporlo nello scaffale tra Fusco (Le rose del ventennio) e Garcia Marques (Cent’anni di solitudine). In buona compagnia, direi.
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