In pullman verso Torino per l’ultimo Juve-Real, il vicino di viaggio mi ha fatto dare un’occhiata al libro che leggeva: parlava di Vladimiro Caminiti, giornalista, scrittore e poeta della nostra squadra bianconera, con una selezione dei suoi articoli per Hurrà Juventus. Grande Camin: mai sentenzioso, con una principesca padronanza della lingua italiana e maestro nella ricerca e nell’uso di aggettivi sempre appropriati.
Non era dogmatico, come invece il tanto osannato Brera, cui Caminiti, al suo citarsi come “Gioanbrerafucarlo”, aggiungeva “dellabassa”, sempre tutto attaccato. Quel Brera che andava per la maggiore con la sua aristocratica predilezione per il gioco all’italiana, il suo dileggio per Rivera (denominato “abatino”) e il suo disprezzo per Furino, ”brutto a vedersi e privo di classe”. Proprio di Furino, invece, Caminiti fece un’icona, un manifesto, l’esempio da seguire: umile e “panormita” come lui, come lui emigrato al nord, giocatore generosissimo nella corsa e nel soccorso ai compagni, sia in situazioni tattiche, sia di rissa, dotato di un senso tattico veramente fuori dal comune.
Nessuno ha mai raccontato le gesta dei calciatori come ha fatto lui, con le sue definizioni, i suoi celebrati aggettivi, talvolta creandosi qualche inimicizia. Come quando descrisse il modo di correre di Capello: bas de cul, quindi descritto “col sedere in fuori” e col braccio destro sempre discosto dal corpo, e quindi col “braccio zavorra”. Sentite come descriveva i calciatori: “… il gioco di Rossi è molto dispendioso sul piano tattico e di nervi, non è un gioco attendistico, ma un gioco di ricerca che stana l’occasione e la motiva … quella vivezza d’intuito nel … farsi trovare alla caduta delle più estrose parabole per il tocchettino risolutore”. “Tacconi è il Capitan Fracassa del ruolo; un adamantino compare risoluto a volare come un angelo, a stupire il mondo”. Ce n’era anche per gli stadi, sentite come descrive in maniera singolare quello del Como: “Voi sapete che stadio … quanto vecchio … sopravvissuto con la sua pietra ai grandi come Monzeglio, uno stadio vecchio, brutto con un terreno verde che è la sua unica realtà, un prato verde abbastanza caparbio, con un buon drenaggio”.
Di tanto in tanto dispensava lezioni di storia del calcio, come quando descriveva, con l’usuale maestria, l’invenzione del libero moderno da parte di Scirea. Più frequenti sono i momenti in cui magnificava la Juventus e i suoi successi, mai dovuti ai singoli, sempre alla serietà e all’organizzazione societaria, che di tutto si occupa, fino agli aspetti così piccoli da apparire marginali ai più. Dal tutto traspariva la sua smisurata ammirazione per Giampiero Boniperti, anima di juventinità e organizzazione, che a sé chiama solo giocatori che siano anche bravi ragazzi. E se non lo sono, lo diventano, vedi Manfredonia: “… gli avevo visto giocare partite splendide … ma un nulla gli bastava per alterarsi. E l’uzzolo di sgomitare cattivo, la pedata plateale, avevano l’effetto di farlo espellere … a privare la Lazio del suo fondamentale apporto. Guarda e ammira il Manfredonia d’oggi. Lindo, ligio, prodigioso. Lui gioca per il collettivo e non si altera quasi mai. E’ un martello che non sbaglia un chiodo”.
In trent’anni a Tuttosport, la sua non era mai sola cronaca sportiva, ma anche il racconto delle caratteristiche umane dell’atleta e, in tempi molto avari di sport in televisione, leggerlo era una delle poche possibilità che si avevano per capire com’era andata la partita e perché. La televisione di oggi, più ricca d’immagini in movimento di quella di ieri, non ha rimpiazzato la sua fantasia e le sue figure metaforiche. Anzi, la sua ricchezza di pensiero e il ricordo delle sue “immagini scritte” ci fanno capire come siano piccoli tanti dei giornalisti che infestano la televisione di oggi.
Il libro di cui vi ho parlato e che ho acquistato non appena possibile, è stato scritto per ricordare un grandissimo amico della nostra Juventus, un poeta del calcio che noi “vecchietti” ricordiamo con affetto e gratitudine. Se lo volessero conoscere anche i più giovani, s’intitola “C’era una volta Camin.
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