Premetto una considerazione personale. Sono europeista convinto, mi piace l’idea di coltivare valori condivisi tra popoli abbastanza omogenei, in un’ottica di pace e sviluppo comune. Europeismo significa anche costituire una supernazione importante per numero d’abitanti ed anche economicamente, tanto da poterci sedere al tavolo dei Grandi, USA, Cina e Russia, e far sentire la nostra voce per influenzare le scelte mondiali sulle politiche antinquinamento, d’equità del commercio estero, di sviluppo delle Nazioni meno progredite, di peace-keeping. Sono europeista anche per la scarsa fiducia che ripongo nei nostri politici nazionali, che “messi in riga” su obiettivi di controllo di spesa e modernizzazione da leggi e regolamenti europei, potrebbero infine apparire come buoni governanti.
Tempi duri si prospettano per Albione, economicamente e politicamente. Cerchiamo ora di vedere cosa potrebbe accadere nel calcio.
La Premier League, nella sua totalità, si era espressa a favore del “remain”: nulla d’europeista all’Adenauer, De Gasperi, Schuman o Spinelli, ma un semplice calcolo, il timore di veder precipitare il calcio inglese da modello di riferimento a realtà periferica. Il voto determina un danno morale, costituito dall’impossibilità dei calciatori europei di entrare e uscire liberamente dalla Gran Bretagna. Su qualche giornale si rincara la dose: per chi scrive da professionista, da trecento a trecentocinquanta professionisti inglesi provenienti da paesi ora extraeuropei, potrebbero non rientrare più nelle caratteristiche necessarie per ottenere il permesso di soggiorno o la possibilità di lavoro. Questo colpirebbe maggiormente le società minori del Regno Unito.
Il danno pratico ed economico del movimento, sarà costituito dal fatto che, terminati i contratti in essere, si andrà incontro alla diminuzione della competitività delle squadre del regno di Sua Maestà: i regolamenti UEFA limiterebbero le squadre inglesi nell’acquisizione di giocatori che solo ora sono comunitari, acquisizione adesso quasi illimitata. Ci rimetterebbero nel breve tempo di qualche stagione anche gli squadroni degli sceicchi e dei magnati russi, che perdendo interesse all’investimento, potrebbero abbandonare l’isola. Al contempo, i calciatori Britannici avrebbero difficoltà ad andare a far parte di compagini oltremanica.
La risposta svalutativa dei mercati mondiali alla quotazione della sterlina, diminuendone il valore nel tempo, pur rendendo più agevoli le esportazioni di manufatti (ma più gravosa la loro importazione) diminuirebbe il valore dei club, renderebbe più onerosi gli acquisti di calciatori europei, ma ormai extracomunitari e diminuirebbe l’introito proveniente dai diritti televisivi. I soliti City, United, Chelsea e Arsenal, sorrette da capitali stranieri, potrebbero probabilmente non avere grosse ripercussioni, ma ci sarebbe certamente un incremento della sperequazione tra grandi e piccole squadre: grandi sempre meno di numero e forse un po’ meno grandi, piccole sempre più numerose, certamente più povere e comunque una Premier League meno interessante. Anche perché,
molto presto, i vari procuratori inizieranno a “reimportare” i loro assistiti, divenuti extracomunitari e con un ingaggio economicamente svalutato, dalla Gran Bretagna all’Europa comunitaria. Prevedo tempi bui per il calcio britannico, che tra non molto, si troverà impoverito e provincializzato.
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