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Eventi di S. BIANCHI del 21/10/2016 09:06:11
Ian Rush

 

Nell’era di Boniperti presidente, a un certo punto si presentano due necessità: sostituire Platini nel cuore dei tifosi e trovare un centravanti che assicuri un gran numero di reti a stagione. Giampiero non ha una cattiva idea e pensa di cogliere due piccioni con una fava: con una campagna di accerchiamento durata a lungo e sette miliardi delle vecchie lire, si accaparra l’agognato Ian Rush, micidiale centre forward del Liverpool. Oltretutto, con l’arrivo del gallese dei Reds, l’inossidabile Presidente spera di rinverdire i fasti del gallese John Charles, suo amico e sodale nel celebrato “Trio Magico”, punto di forza della Juventus tra gli anni ‘50 e ‘60.

Rush nasce a Flint, in Galles, per espresso volere del padre gallese, che, in effetti, viveva nella vicina Chester, in Inghilterra. Vive abbastanza miseramente dell’incerto salario del padre in una famiglia molto numerosa, e la sua vita giovanile trascorre tra risse, sbronze e scontri con la polizia. Lo salva il calcio, ma a Chester, la città dove vive, non sembra una gran promessa. Poi passa al Liverpool e dopo un inizio stentato si mette in luce, guadagnando anche la prima convocazione nella Nazionale Gallese, dov’è l’esordiente più giovane di sempre. Diventa titolare anche nel Liverpool: entra nella leggenda il giorno che rifila quattro schiaffoni all’Everton nel derby cittadino, eguagliando un record vecchio di cinquant’anni. Boniperti non ha pensato male: in 331 partite disputate in sette anni, Rush ha segnato 207 reti e, tra campionati, Charity Shield, Coppe di Lega e Coppe d’Inghilterra, ha contribuito alla conquista di dodici titoli nazionali e, soprattutto, di due Coppe dei Campioni. Segnalo l’importanza della seconda di queste, sollevata nel cielo di Roma il 30 maggio 1984: ai rigori Rush sigla il punto del quattro a tre, con l’errore successivo di Graziani e la seguente segnatura di Kennedy che, portando il risultato finale sul cinque a tre, impedisce la prevista manifestazione aerea sul cielo di Torino, con relativo lancio di volantini a presa per il sedere.

Come detto, la speranza bonipertiana è di rivedere in bianconero le imprese pedatorie di Charles, ma Sivori, con la consueta franchezza, sui due gallesi dichiara: “Si somigliano solo nel fatto che a nessuno dei due si possono chiedere finezze o scambi in spazi stretti”. Poi: “Rush? Non ha la forza fisica che aveva John e non è tanto bravo di testa, ma approfitta al massimo delle occasioni che gli capitano”. Considero Sivori come il più grande bianconero di sempre (anche se voi potete pensarla diversamente), però, in deroga a questa mia dichiarazione d’amore, penso che tutti noi avremmo potuto accontentarci di questa specie di Pablito con i baffetti e col fisico un po’ più atletico.

Ammirandolo nelle amichevoli, l’acquisto pare azzeccato. Purtroppo, nella prima gara ufficiale, contro il Lecce in Coppa Italia, è subito stiramento muscolare: Rush rientra cinque settimane dopo, alla seconda di campionato. Una serie di malanni “strani”, continui ritardi agli allenamenti, troppe birre e le reti che non arrivano, non favoriscono il suo inserimento. Litiga anche con la stampa che lo deride per essersi attribuito un gol a Pisa, in effetti, autorete di Elliott allo scadere. Si mangia spesso gol fatti, arriva in ritardo sul pallone, lo perde con una facilità disarmante e presto, dopo esserlo diventato dei giornalisti, diviene bersaglio anche delle critiche dei tifosi. Quel viso da faina, quei baffetti a sparviero appartengono sempre più a una faccia che esprime un mix tra lo scocciato e il sonnolento. In sostanza si rifiuta d’imparare l’italiano. Non suscita alcun rimpianto, quando, alla fine dell’anno, dopo quaranta apparizioni in maglia bianconera e la miseria di tredici reti segnate, recuperando parte dell’esborso, Boniperti lo rispedisce nella città del Mersey e dei Beatles. Se a Torino rimpianti ne suscita pochi, altrove, alla notizia dovrebbero aver organizzato dei fuochi d’artificio. Parlo di Pescara, poiché contro i biancazzurri Rush si è particolarmente impegnato, battendo il loro portiere per ben sette volte. Sette reti sulle tredici totali: e andate sicuri perché ho controllato su “900 bianconero” di Antonio Sarcinella, Mariposa editrice).

E’ arrivato per colmare il vuoto lasciato da Platini, senza contare che col francese sono partiti anche Briaschi, Caricola, Manfredonia, Pioli e Serena, mentre con Rush arrivano Alessio, Bruno, De Agostini, Magrin, Napoli e Tricella. La squadra, affidata per il secondo anno a Rino Marchesi, non decolla. Si finisce al sesto posto, e Boniperti, non volendo abdicare ai propri radicati criteri, paga, e la Juve con lui, lo strapotere economico-calcistico del Cavaliere interista, che nel frattempo ha comprato il Milan e l’ha dotato di Gullit, Van Basten (e poi anche di Rijkaard). Chiaro che le cose non potevano andare, e anche senza confrontare le formazioni bianconere e rossonere, è chiaro come fosse una Juventus piccola piccola.

Perché vi ho parlato di Ian Rush? Perché oggi, 20 ottobre, è il suo cinquantacinquesimo compleanno e perché, da qualche partita, ho la possibilità di vedere all’opera, con la maglia numero nove, un signore, Gonzalo Higuain, che prolungherà il fil rouge di grandi centravanti che da Charles, a oggi ha visto un solo altro grande interprete del ruolo, David Trezeguet. Rush, purtroppo, non fa parte di questo fil rouge, ma tornato in Inghilterra, riprende a segnare gol a grappoli e a sollevare trofei. La Premier League gli è sicuramente più confacente del campionato italiano, ma sono più che sicuro che se avesse trovato un’altra Juventus, il suo nome sarebbe stato scritto tra quelli del suo predecessore gallese e del franco-argentino: la storia sarebbe stata ben diversa. Non era certo un bidone: siamo noi che non abbiamo saputo valorizzarlo.


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