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Sivori è più di un fuoriclasse. Per chi ama il calcio, è un vizio”: quest’imprimatur di Gianni Agnelli la dice lunga sulla classe calcistica d’Omar Sivori, uno dei calciatori argentini più forti di tutti i tempi. Infatti, della triade di fuoriclasse argentini a capo di tre generazioni calcisticamente successive, se Sivori è il padre, Maradona è il figlio e Messi il nipote. Se lo avete visto giocare solo nei filmati di YouTube, fidatevi: si sta parlando di classe calcistica allo stato puro.
Omar, d’origine italiana e probabilmente anche parente di Papa Francesco, un altro che di classe ha da venderne, com’ebbe a dire Massimo Raffaeli, “
Era il genio assoluto, l’esplosione, l’anarchia come disciplina superiore del calcio”. Nel 1957, con Angelillo e Maschio costituisce un'altra triade, gli “Angeli della faccia sporca” e vince la Coppa America. E’ il momento in cui Cesarini, “quello della zona”, ne sponsorizza l’acquisto da parte della prima Juventus d’Umberto Agnelli, che per lui paga 160 milioni: con quei soldi, tanti per l’epoca, il River Plate risistema lo stadio e Umberto costituisce un altro mitico gruppo di tre campioni, il “Trio Magico”, i cui membri sono Sivori, Boniperti e Charles.
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Stravedevo per la cattiveria e la scaltrezza di Sivori: non si faceva mai picchiare da nessuno. Anzi al massimo succedeva il contrario”, diceva Marcello Lippi. E quei calzettoni “alla cacaiola” facevano parte della provocazione nei confronti degli avversari. Comunemente, il primo contatto in partita con l’avversario era falloso, duro, a far indispettire: dalla lotta che iniziava da quel momento, lui certo non si tirava indietro, e l’avversario indispettito perdeva progressivamente in lucidità mentale, scadendo in qualità del gioco, se addirittura non si faceva espellere tentando di restituire i colpi presi. Talvolta, questa tecnica non sortiva gli effetti sperati, e qualche volta gli andava male. Come quella volta, al Comunale, il 25 marzo 1962, con i bianconeri sotto di una rete con la Sampdoria per la rete di Brighenti ad inizio di primo tempo, rete che sarà anche l’unica di quel pomeriggio.
All’ottantesimo e Sivori è espulso dall’arbitro Grignani di Milano. Omar non se ne dà pace: la sua Juve sta perdendo, non gli è riuscito segnare, la gara si sta avviando all’epilogo e lui è stato espulso per un falletto di nessuna gravità. Non capisce, probabilmente fa finta di non capire che l’espulsione è avvenuta a causa dell’ennesima provocazione messa in atto, o forse lo capisce ed è ancor di più indispettito. E’ da pensare che Grignani abbia davvero considerato una sommatoria di falli, e in ogni modo ha il dito puntato verso l’ingresso degli spogliatoi. Diciamo che vorrebbe cacciarlo dal campo, ma Sivori, imbestialito, è sicuro che quell’ultimo fallo non sia particolarmente grave e si scaglia contro l’arbitro: meno male che Ernesto Bernardo “Tito” Cucchiaroni, l’ala sinistra doriana, anche lui argentino, lo ferma in tempo. Non l’avesse fatto, sarebbe stato radiato: quella volta, Sivori se la levò con sei giornate di squalifica.
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