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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di S. BIANCHI del 07/06/2017 08:56:24
Il 'Caso Allemandi'

 

Nella stagione 1925/26, la Juventus di Edoardo Agnelli e Jeno Karoli, conquistato il primo posto in Lega Nord, vinse il suo secondo scudetto sommergendo sotto una valanga di gol l’Alma Roma, vincente della Lega Sud. Certo, sportivi e giornalisti avevano nel cuore e nella penna Combi, Bigatto, Rosetta, Hirzer e Pastore, ma tanto merito di quello scudetto fu anche di Luigi Allemandi, un gran terzino sinistro. Se per Brera «Era uno dei più forti terzini in circolazione, cresciuto nel Legnano come mezzala, era stato retrocesso in difesa per sfruttare la sua straripante potenza», per Bruno Roghi «Allemandi è imbattibile, sicuro e potente». In agosto, la “Carta di Viareggio” portò alla fusione delle due Leghe nella Divisione Nazionale, ma nel campionato riformato la Juventus non fu all’altezza della stagione precedente, arrivando terza nel girone finale della Divisione Nazionale, troppo presto estromessa dalla lotta per il titolo tra Torino e Bologna. In questa situazione s’iscrive il “Caso Allemandi”, primo scandalo che colpisce il calcio italiano, su cui mai è stata fatta chiarezza: un intreccio tra un ipotizzato tentativo di corruzione, un processo sportivo parziale e interessi di terzi. Qualcosa che si vedrà ancora nel 2006.

Con la Juventus senza più ambizioni per la vittoria finale, Allemandi sembra essere stato avvicinato dal Dottor Guido Nani, dirigente granata, che gli avrebbe promesso cinquantamila lire, in due rate, per favorire la vittoria del Torino nella gara del 5 giugno 1927. Per il contatto, Nani avrebbe utilizzato uno studente del Politecnico, Francesco Gaudioso, abitante nella stessa pensione di Allemandi, in via Lagrange. La gara, terminata due a uno per il Torino, vide Allemandi tra i migliori in campo. A seguire, i tre si sarebbero ritrovati in camera di Allemandi, ma la discussione si potrebbe essere accesa al rifiuto di Nani a pagare la seconda tranche, vista l’ottima gara disputata dal terzino. Nella stessa pensione, però, viveva anche Renato Farminelli, giornalista del “Tifone”, che sostiene di aver captato la discussione, tanto da farne un articolo a fine campionato.

“C’è del marcio in Danimarca”, l’articolo di Farminelli, allerta la Federcalcio, il cui presidente, Leandro Arpinati era anche gerarca fascista, podestà di Bologna e sfegatato tifoso rossoblù. Durante un sopralluogo nella famosa pensione, effettuata dopo la fine del campionato (10 luglio), cioè almeno un mese dopo la gara incriminata, in un cestino di rifiuti si trovò una lettera strappata in minuti pezzetti che, ricostruita, fu detto essere quella in cui Allemandi reclamava il resto della somma pattuita. E’ normale che rimostranze di tale natura siano fatte per iscritto? La proprietaria della lussuosa pensione, dopo quanto pensava di far riassettare le camere? Insomma, un “ritrovamento” che, nella sostanza e nei tempi, suona come un’offesa all’intelligenza di Allemandi e dei destinatari della notizia. Nell’insolita sede della Casa del Fascio di Bologna, fu montato un processo lampo, senza che nessuno potesse visionare la famosa lettera-puzzle, se mai esistita, col solo dato di fatto della confessione del Nani. Il processo portò alle seguenti sanzioni: revoca dello scudetto al Torino, ma non assegnazione dello stesso al Bologna secondo classificato, squalifica a vita per Nani e Allemandi, nel frattempo ceduto all’Inter di Giovanni Mauro, vicepresidente della Federazione e temibile capo degli arbitri, e presto graziato.

Lo scandalo scatenò polemiche e dietrologie. D’Arpinati si disse che aveva ordito l’intrigo per favorire i felsinei, con un atteggiamento che seguiva la linea della ripetizione di Torino-Bologna, vinta dal Torino, con la scusa di un errore tecnico dell’arbitro (ma il Toro vinse di nuovo). Del gerarca, si disse che, su pressione di Mussolini, dovette non far assegnare il titolo al “loro” Bologna, per evitare discredito sulla credibilità del partito, da poco al potere. Altre ipotesi coinvolgono più strettamente la Juventus, che avrebbe sacrificato Allemandi per salvare Rosetta, Munerati e Pastore, gli ipotizzati destinatari della somma, cosa che, in effetti, potrebbe spiegare l’accaloramento di Allemandi nella discussione origliata dal giornalista. Ma quanto era attendibile Farminelli, pieno di risentimento verso la dirigenza granata per avergli rifiutato la tessera d’accesso al Filadelfia? Ancora: il prezzo della supposta corruzione è parso subito esagerato, poiché in quegli anni, l’ingaggio che fece scandalo fu di Mumo Orsi, centomila lire l’anno.

Giustizia è stata fatta? Direi di no. Il povero Allemandi, che mai aveva confessato l’addebito, poco prima di morire, nel 1976, ripeté a Carlo Moriondo di “Stampa Sera”: «Sì, c’era stato qualcosa di poco chiaro, quel giorno. Ma il colpevole non ero io». Nel frattempo, si è assistito alle periodiche rivendicazioni, da parte di Torino e Bologna, di quello scudetto che entrambe dichiarano proprio. Tavecchio, recentemente, si è detto disponibile a nominare una commissione per far luce sullo scandalo: chissà che in qualche pensione torinese si trovi un’altra lettera ad hoc, opportunamente sminuzzata, che faccia luce sulle ragioni dell’uno o dell’altro?

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