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Editoriale di S. BIANCHI del 25/01/2018 08:38:20
20 gennaio 1988: Rush ne fa quattro!

 

L’idea di Boniperti non è male: per dare un nuovo idolo ai bianconeri, orfani di Platini, e per avere una punta capace di segnare un gran numero di reti, dopo una corte serrata riesce a portare a Torino nientemeno che Ian Rush, il corteggiatissimo centre-forward del Liverpool. Ci vogliono ben sette miliardi delle vecchie lire: tanti, ma il buon Boniperti spera di rinverdire i fasti dell’altro grande centravanti gallese, approdato alla Juventus del ”Trio Magico”, il possente John Charles. Le credenziali non sono male, comunque all’altezza del denaro sborsato: in sette anni con i “Reds” ha fatto incetta di campionati e assortite coppe inglesi (Charity Shield, di Lega e d’Inghilterra), ma soprattutto ha vinto due Coppe dei Campioni. Il suo lavoro? Fornire assist di testa e creare spazi per le segnature dei compagni, ma soprattutto mettere a segno più di una rete ogni due partite.

In effetti, non era proprio un sosia di Charles. Se vogliamo andare sui paragoni, era un centravanti meno potente del suo precursore, però più opportunista. Una specie di Paolo Rossi, col fisico da Aldo Serene, ma con i baffetti a sparviero. Era d’accordo anche Sivori, che nel periodo si era dato al commento tecnico in televisione, affermò: “Si somigliano solo nel fatto che a nessuno dei due si possono chiedere finezze o scambi in spazi stretti”…. Rush? Non ha la forza fisica che aveva John e non è tanto bravo di testa, ma approfitta al massimo delle occasioni che gli capitano”.

Non si ambienta subito, forse la birra d’importazione non è gran cosa, forse è la Juventus che non è gran cosa in quel periodo. Nelle amichevoli precampionato va benino, ma alla prima gara ufficiale, a Lecce in Coppa Italia, è subito stiramento. Rientra cinque settimane dopo, ma non è un bel vedere: sembra svogliato, sbaglia controlli e reti apparentemente facili. Noi tifosi siamo combattuti tra la speranza della definitiva esplosione e la paura del fallimento clamoroso. Siamo in questa terra di nessuno, in questo giudizio sospeso sulla grande stella che doveva significare il salto di qualità della squadra, quand’ecco il lampo. Col senno di poi, si sperò che quel lampo avesse lo stesso significato che ebbe nel consacrarlo ai tifosi del Liverpool, quella volta che alla prima stagione rifilò quattro reti ai “nemici” dell’Everton, tutte in novanta minuti. Il 20 gennaio 1988 la Juve è di scena a Pescara per il ritorno degli ottavi di Coppa Italia. Non inizia benissimo: pronti, via ed ecco subito due paratone di Tacconi su due corner consecutivi del Pescara. E’ un Pescara che schiera Junior, proprio quel Leo Junior che, dopo le grandi stagioni granata, e prima di tornare al Flamengo, gioca due anni in provincia. In biancazzurro c’è anche Gasperini, proprio il “nostro” Gian Piero, che in attesa di diventare quel grande allenatore delle nostre squadre giovanili, gioca cinque anni al Pescara, di cui tre agli ordini di Giovanni Galeone, grande maestro di calcio. La partita non ha storia: al primo affondo serio, al 19°, Rush porta la Juve in vantaggio di testa, raddoppia al 28° con un diagonale dal vertice dell’area, con un tiro al volo dalla distanza porta a tre le sue marcature al 49°, e fa poker al 54°, in mischia. Di contorno, le due reti di Michelino Laudrup, pregiate per la loro relativa rarità, il gran gol su punizione di Junior e la rete di Sliskovic allo scadere.

Dopo il sei a due a Pescara, ci eravamo illusi che il brutto anatroccolo si fosse finalmente trasformato in cigno. Non sarà così: il gallese s'intristisce di nuovo, sembra tornato svogliato e ricomincia a sbagliare controlli e reti apparentemente facili. La causa del fallimento del bomber fu probabilmente da attribuire alla pochezza bianconera di quel periodo, che presentava una squadra con poche stelle e tanti artigiani, a partire dall’allenatore. Pur rimaneggiata per l’occasione di Coppa e priva di Scirea, la squadra era sostanzialmente questa: Tacconi, Favero, Cabrini (Bruno dal 46); Bonini, Brio, Tricella; Mauro, Magrin, (Vignola dal 67), Rush (Buso dal 67), De Agostini, Laudrup. Sarebbe servito un gioco, per sopperire all’addio di Michel Platini, un centrocampo che potesse tentare di sostituire con la quantità, la qualità del francese, ma Marchesi non riuscì, né in questo, né a motivare il gallese.

Disperato, Boniperti rispedì al mittente Ian Rush, mentre noi tifosi bianconeri iniziavamo a capire che il sistema gestionale bianconero, confrontato con quello del Milan del Cavaliere, era al tramonto. L’unica nota positiva della vicenda, il limitato esborso economico per l’incauto acquisto: preso a tre milioni e duecentomila sterline, il gallese fu restituito al Liverpool a due milioni e ottocentomila sterline, per quella che oggi sarebbe stata una minusvalenza di ottocentosettantacinque milioni di lire.

E Rush? Tornato a Liverpool, dopo che nella stagione bianconera, in quaranta gare aveva fatto tredici reti, ricominciò a fare quel che sapeva fare: segnare reti (altre 139 reti in 329 gare, nonostante qualche infortunio di troppo) e condurre la sua squadra a nuovi trofei: un altro campionato, due FA Cup e una Coppa di Lega.


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