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Editoriale di S. BIANCHI del 11/04/2018 10:02:38
11 aprile: Auguri, Marcello!

 

Finito il ciclo dei campioni di tante vittorie e tramontata la gestione “romantica” delle società di calcio, in cui Boniperti era maestro, le squadre si continuano ad attrezzare grazie all’abilità di dirigenti eccezionali come Ariedo Braida che ora, per il mercato, hanno a disposizione un budget illimitato. Nel calcio italiano è nato il “Paperonismo berlusconiano”, ma prima che la Juventus si adegui, dallo Scudetto e dall’Intercontinentale del 1985/86 passeranno nove anni. Non saranno privi di allori (due Coppe UEFA e una Coppa Italia), ma eravamo abituati molto meglio.

Per tornare a dominare, attraverso qualche errore di gestione e quella genialata che portò alla ridicola “stagione Maifredi”, occorreva tornare a una gestione imprenditoriale del club, anche per ripianare un notevole deficit di bilancio. Come nella metà degli anni ’20 del Novecento, ci volle un Agnelli a riorganizzare la Società bianconera: Umberto, che scelse un esempio di juventinità come Bettega per la Vicepresidenza, e i migliori nel loro campo per la gestione finanziaria e quella sportiva, Giraudo e Moggi, la “Triade”. Come tecnico della nuova Juventus, fu arruolato un allenatore emergente, Marcello Lippi.

Viareggino, «il più bel prodotto di Viareggio dopo Stefania Sandrelli», come disse l’Avvocato anni dopo, dopo nove anni alla Sampdoria, termina la carriera agonistica a Pistoia e Lucca, poi, dal 1982 allena le giovanili blucerchiate. Passa ai professionisti col Pontedera, poi allena a Siena, Pistoia, Carrara, fino al debutto in Serie A con il Cesena, dove gli affibbiano il soprannome di “Paul Newman”. Poi allena la Lucchese, l’Atalanta, dove manca per un punto la qualificazione in Coppa UEFA, che conquista, invece, a Napoli.

Alla Juve dal 1994/95, Lippi è tra i primi ad adeguarsi al meglio alla nuova regola dei tre punti assegnati alla squadra in caso di vittoria, proponendo una filosofia di gioco opposta al calcio trapattoniano, molto più orientata alla fase offensiva. Il modulo preferito è il 4-3-3, con i tre attaccanti che devono applicarsi anche alla fase in fase difensiva, garantendo l’equilibrio tattico necessario. Ha l’abilità di far giocare chiunque, della rosa a sua disposizione, come se giocasse il titolare nel ruolo, e, anno dopo anno, è maestro nell’integrare al meglio i nuovi arrivati, con i vecchi prima sacrificati sull’altare del ripianamento del deficit, poi per garantire competitività senza esborsi dell’azionista di maggioranza. Cambiano gli attori in campo, specie gli attaccanti come Vialli e Ravanelli, rimpiazzati da Vieri e Boksic e solo un anno dopo sostituiti con Pippo Inzaghi. Ciò che non cambia mai, e senza un momento di rodaggio, sono la solidità e la duttilità della squadra, che si mantiene stabilmente ai vertici, nazionali e continentali. In Europa, ciò è confermato da quarantatré gare consecutive giocate in Champions (13.9.1995 - 21.4.1999) e tre finali in tre anni. Il “Lippi 1”, i cinque anni dal 1994 al 1999, sono valsi tre Scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe di Lega, una Champions League, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa UEFA.

A febbraio 1999, l’incazzoso Marcello (l’aggettivo non è un’offesa, ma un complimento), si dimette dopo la sconfitta interna col Parma, qualche mese prima della fine del contratto: «Se il problema di questa squadra sono io, allora do le dimissioni. Vediamo se, senza avere più il problema - Lippi, la squadra saprà ritrovarsi».

Dopo due anni poveri di risultati, sia per la Juve, sia per lui, Marcello torna a Torino per la stagione 2001/02. E’ strano, ma non riesce a ottenere risultati immediati dalla squadra, al solito molto modificata: sono arrivati Buffon e Nedved, ma Zidane era andato in Spagna per il desiderio di Veronique, i milioni del Real e l’autogestione bianconera. Trova il bandolo della matassa, trasformando Nedved da mezzala a trequartista: l’inseguimento all’Inter capolista termina col sorpasso all’ultima giornata, il 5 maggio 2002. Nelle due stagioni successive, oltre a trasformare Zambrotta da discreto esterno destro d’attacco in eccezionale esterno sinistro di difesa, Lippi conquista un altro Scudetto e due Supercoppe di Lega.

Passa quindi alla guida della Nazionale italiana, con qui vince la Coppa del Mondo in una finale che, contemporaneamente, sancisce la sua grandezza e quella di Luciano Moggi. Infatti, nel trionfo dell’Olympiastadion, tra “Azzurri” e “Bleus” hanno giocato la finale ben undici giocatori bianconeri di oggi (Buffon, Camoranesi, Cannavaro, Del Piero, Thuram, Trezeguet, Vieira e Zambrotta) e del passato (Zidane, Henry e Perrotta), tutti portati in bianconero dall’Uomo di Monticiano. Una vittoria più Bianconera che Azzurra, alla faccia di quella mafia dirigenziale e di quel sentimento popolare che aveva appena infangato e retrocesso la Juventus alla serie B e che non volevano Lippi sulla panchina Azzurra.

Come non voler bene a quest’uomo, uno degli artefici dei migliori periodi bianconeri di sempre? Impossibile! E pensare che, quando l’ho conosciuto, alla fine degli anni ‘60, mi stava un po’ antipatico. Rivalità tra maschi: con l’aplomb conferitogli dall’età, dall’aspetto e dall’essere un calciatore (pur se delle giovanili del Viareggio), corteggiava una nostra compagna, manco a dirlo la più gnocca della classe, se non del liceo. Molto meglio quando, a fine anni Novanta, ci si trovava a Viareggio, in Passeggiata o da Fappani, sempre spiritoso, disponibile, sorridente. Oggi compi settant’anni: tanti auguri, Marcello, ti vogliamo bene!

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